Se per storia dei concetti si intende ogni ricerca che si proponga un’indagine storico critica sui termini impiegati dalla filosofia, sui loro contenuti concettuali e sul loro sviluppo diacronico, è possibile parlare di storia dei concetti in riferimento ai lavori di filologia applicata alla filosofia, alla lessicografia filosofica, ai dizionari di filosofia, alle riflessioni sulla storia della filosofia che dedicano specifica attenzione al ruolo giocato dai termini filosofici e dai mutamenti di significato cui essi vanno incontro nelle diverse filosofie. Intesa in questo senso, una storia dei concetti, o almeno un embrione di essa, si trova già nel Settecento, quando vengono elaborati i primi lessici filosofici, come il Philosophisches Lexikon di Johann Georg Walch del 1726. La storia dei concetti riceve un notevole impulso dal diffondersi della convinzione che la filosofia abbia un carattere essenzialmente storico grazie agli apporti dell’idealismo tedesco e in particolare di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) (nelle cui Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie si incontra, probabilmente per la prima volta, il termine storia dei concetti, sia pure in un’accezione diversa da quella indicata), e diventa un’esigenza avvertita con sempre maggiore urgenza nel corso dell’Ottocento, per esempio con Rudolph Eucken, che nel 1872 auspica la pubblicazione di un lessico storico della terminologia filosofica e qualche anno più tardi, nel 1879, pubblica effettivamente Geschichte der philosophischen Terminologie (storia della terminologia filosofica), o con Gustav Teichmüller, che scrive nel 1874 Studien zur Geschichte der Begriffe (studi sulla storia dei concetti) e intende la storia dei concetti come una topica cronologica. Queste ricerche proseguono nel Novecento, con la pubblicazione di numerosi dizionari di filosofia, tra i quali, per restare in ambito germanofono, il Wörterbuch der philosophischen Begriffe di Rudolph Eisler, in più volumi (1927-1930). Tuttavia, in riferimento al dibattito attuale e all’uso oggi corrente del termine storia dei concetti, appare più utile e più chiaro impiegare il termine in relazione ad un orientamento degli studi storico-filosofici diffusosi in Germania a partire dagli anni Cinquanta, e restringere ad esso l’esposizione. Infatti l’attuale storia dei concetti si differenzia dalla semplice lessicografia filosofica (con la quale la storia dei concetti tradizionale risulta ancora largamente intrecciata), in modo tale che non è più possibile considerare ogni dizionario filosofico un esempio di storia dei concetti; essa si autocomprende come disciplina che collabora con la storia della filosofia e con la teoria filosofica; si estende sempre di più all’intero ambito della cultura, superando i confini disciplinari della filosofia ed applicando la sua metodologia alle scienze sociali e alle scienze umane in genere; rappresenta sempre di più un indirizzo di studio che supera i confini tedeschi entro i quali è nato e si confronta con metodologie prossime ma niente affatto coincidenti, come la Storia delle idee o la intellectual history. Inoltre la storia dei concetti attuale è sorta e ha definito i suoi metodi proprio in relazione a, e in opposizione con, la storia dei concetti tradizionale. La distinzione tra la storia dei concetti precedente e quella elaborata nella seconda metà del Novecento si giustifica anche per il fatto che la seconda è nata appunto da una presa di posizione critica nei confronti della prima, ed ha cioè inteso i propri metodi come innovativi rispetto a quelli correnti nella lessicografia filosofica. L’atto di nascita ufficiale della storia dei concetti contemporanea può infatti essere identificato nella fondazione, ad opera di Erich Rothacker, della rivista Archiv für Begriffsgeschichte, avvenuta nel 1955. Ma alla decisione di dare vita ad un periodico di studi di storia dei concetti si giunse attraverso un processo che era iniziato proprio con il progetto di una riedizione aggiornata del Worterbuch di Hans Eisler. Rothacker e i suoi collaboratori, incaricati di tale aggiornamento, si resero presto conto che, al di là dei difetti contingenti, era l’impianto di base di tale opera a dovere essere messo in questione. Essa infatti, come molta lessicografia filosofica tradizionale, separava nettamente la fissazione della definizione dei termini dalla storia che essi avevano percorso, sì che la parte per così dire sistematica e quella storica delle voci del dizionario risultavano non integrabili. Altrettanto insoddisfacente risultava per altro il presupposto filosofico che stava alla base della lessicografia filosofica di area francese, la cui massima espressione è il Vocabulaire technique et critique de la philosophie di André Lalande (1928). In quest’ultimo infatti domina l’idea cartesiana che lo scopo di un dizionario filosofico sia quello di giungere a fissare per ogni termine filosofico un significato chiaro e privo di ambiguità, che renda impossibile in seguito il sorgere di controversie. Se tale significato venisse raggiunto, è ovvio che la storia precedente dei concetti perderebbe il proprio interesse. Rothacker, nella cui formazione intellettuale avevano contato la Geistesgeschichte di Dilthey lo studio dei concetti filosofici di Eucken, e la concezione della storiografia filosofica di Hartmann, sostiene invece l’inscindibilità della storia dei concetti dal loro impiego attuale, il valore che la comprensione storica della filosofia possiede per l’attività teoretica in campo filosofico, e denuncia il carattere antistorico dell’ideale della filosofia come scienza universale liberata da ogni condizionamento temporale. Un dizionario storico dei termini filosofici elaborato su questi presupposti diventa però un’impresa di enorme impegno, ed è appunto per prepararla e renderla possibile che Rothacker fonda l’Archiv für Begriffsgeschichte, che si propone di raccogliere monografie sulla storia dei singoli concetti, stimolarne la composizione, ospitare tentativi anche parziali di ricostruzione storica di concetti determinati, e insomma di cominciare ad accumulare le pietre da costruzione per il futuro dizionario. Nella breve avvertenza che premise al primo numero dell’Archiv für Begriffsgeschichte, Rothacker si soffermava infine su due aspetti che assumeranno via via sempre maggiore importanza negli sviluppi successivi della storia dei concetti: da un lato il suo essere una sorta di intreccio tra storia dei problemi e storia dei termini, dall’altro il fatto che una storia dei concetti correttamente intesa richiede l’ampliamento dell’orizzonte dai testi e dagli autori strettamente filosofici all’intero campo della cultura. Rispetto al privilegio accordato nei lessici tradizionali alla filosofia prima e alla filosofia della natura, la storia dei concetti deve intendere la filosofia in primo luogo come Kulturphilosophie. Il programma di lavoro tracciato da Rothacker incontrò rapidamente consensi. Autori come Joachim Ritter, Reinhart Koselleck, Werner Conze, Karlfried Gründer, Hermann Lübbe, Odo Marquard si sono mossi, anche se non sempre in accordo con i principi tracciati da Rothacker, sulla linea di una storia dei concetti modernamente intesa Hans-Georg Gadamer (1900-2002), che dirige per qualche tempo, negli anni Cinquanta, una commissione senatoriale presso la Deutschen Forschungsgemeinschaft per la ricerca nel campo della storia dei concetti, sottolinea il contributo che la storia dei concetti può dare alla filosofia ermeneutica e scrive in Wahrheit und Methode “chi non voglia lasciarsi dominare dal linguaggio, ma si sforzi di acquistare una fondata consapevolezza storica, si trova costretto ad affrontare tutta una serie concatenata di problemi sulla storia delle parole e dei concetti” (Gadamer 1960, p. 32). Sempre in Wahrheit und Methode, Gadamer ricostruisce in pieno stile begriffsgeschichtlich la storia di quattro concetti-guida umanistici, come Bildung, sensus communis, Urteilskraft e Geschmack. Lo stesso progetto originario di un dizionario storico dei termini filosofici prende corpo più rapidamente di quanto si era inizialmente previsto. Coordinato da Ritter, lo Historisches Wörterbuch der Philosophie comincia ad essere pubblicato nel 1971. L’opera, inizialmente prevista in sei volumi, poi ampliata, è giunta solo in questi ultimi anni alla pubblicazione degli ultimi tomi. Ritter, nella presentazione del progetto del dizionario, insiste sul fatto che esso potrà costituire solo un primo avvicinamento ad un vero e proprio standard-work in materia di storia dei concetti, e sostiene che il titolo più modesto quale dizionario storico della filosofia si attaglia meglio allo stato della ricerca. Il titolo verrà poi mantenuto, ma occorre dire che i risultati hanno superato di molto le aspettative di Ritter. Lo Historisches Wörterbuch der Philosophie è un’opera eccellente, sicuramente il dizionario filosofico migliore di cui si disponga oggi al mondo, e contiene trattazioni molto ampie, dettagliate, ricchissime di riferimenti puntuali, per una quantità di termini e di problemi. Il livello generale, per un’opera collettiva in cui sempre ci sono discrepanze, è sorprendentemente alto. Alcune voci sono delle vere e proprie monografie sull’argomento trattato. Lo Historisches Wörterbuch der Philosophie costituisce insomma, nonostante le prudenti riserve di Ritter, un monumento di storia dei concetti, che funge da modello per analoghe ricerche e che non ha mancato di esercitare il suo influsso anche al di fuori della Germania. Esso dimostra ad abundantiam che la storia dei concetti non è più una semplice disciplina ausiliaria della storia della filosofia, ma un filone di studi con la propria metodologia e molto più di una branca della lessicologia. Per quanto, come dichiarato dal titolo, il dizionario si rivolga in primo luogo ai concetti filosofici, e per quanto le opere prese a riferimento per le ricerche siano in primo luogo quelle dei grandi filosofi, tuttavia esso non si limita allo stretto patrimonio concettuale della filosofia, ma prende in esame un vasto spettro di concetti, estendendo l’analisi anche a testi letterari, storici, artistici, politici e d’altro tipo. Parallelamente allo Historisches Wörterbuch der Philosophie è nata in Germania un’altra opera decisiva per lo strutturarsi di una moderna storia dei concetti. Si tratta dei Geschichtliche Grundbegriffe progettati da Koselleck, Brunner e Conze. L’opera si propone di scrutinare il lessico politico-sociale tedesco dal Settecento al Novecento, ma finisce per allargare il proprio orizzonte a tutta l’Europa, ricostruendo la storia e i mutamenti di significato di termini come Rivoluzione, Democrazia, Classe, Crisi, Borghesia, ecc. Il metodo adottato è dichiaratamente quello della Begriffsgeschichte. Nello scritto programmatico Richtlinien für das Lexikon politisch-sozialer Begriffe der Neuzeit, Koselleck chiarisce che l’intento dei Geschichtliche Grundbegriffe non è né quello di fare una storia delle parole, né quello di fare una storia dei problemi, ma piuttosto qualcosa di intermedio tra l’una e l’altra. I concetti di cui si fa la storia non coincidono con le parole: ci sono parole che assumono nella storia significati diversi, e stanno per concetti anche molto distanti tra loro; viceversa, ci sono concetti che possono trovare espressione in termini diversi. La permanenza di una parola non è affatto garanzia sufficiente della permanenza di un concetto. “Il nostro metodo oscilla quindi per così dire tra l’impostazione semasiologica e quella onomasiologica, tra quella propria della storia dei fatti e quella propria della storia dello spirito: sono tutte necessarie, per riuscire a cogliere il contenuto storico di un concetto” (Koselleck 1967, p. 81). La storia dei concetti è attenta perciò soprattutto alle sovrapposizioni, agli slittamenti, alle nuove coordinazioni che si producono tra i concetti. I significati verbali possono forse essere determinati esattamente attraverso una definizione, ma i concetti richiedono di essere interpretati. Allo stesso modo, non si possono separare le fonti dalle interpretazioni, se è proprio l’intreccio delle une e delle altre che trasforma la storia dei concetti tradizionale nella moderna storia dei concetti. Fin qui, come si vede, i propositi di Geschichtliche Grundbegriffe – e, possiamo aggiungere, la loro traduzione in pratica, visto che anche in questo caso siamo di fronte ad un’opera di altissimo livello, che è diventata un punto di riferimento per gli studi politico-sociali, non solo in Germania – sono largamente omogenei a quelli che, esplicitamente o implicitamente, animano Historisches Wörterbuch der Philosophie. In due aspetti particolari, tuttavia, si delinea tra le due impostazioni un’importante divergenza. Il primo riguarda la natura del materiale preso in esame. Mentre, come abbiamo detto, Historisches Wörterbuch der Philosophie effettua lo spoglio su testi comunque rilevanti, su testi d’autore, Geschichtliche Grundbegriffe oltre a prendere in considerazione gli scritti dei teorici della politica, dell’economia, della sociologia, dichiara di volersi rivolgere anche a giornali, riviste, pamphlet, lettere private, diari, atti parlamentari, atti amministrativi, testi di propaganda. Se poi ciò accada effettivamente nelle singole voci, o se, come è stato spesso osservato, l’impianto della storia concettuale resti sostanzialmente elitario, è altra questione. Il secondo punto è che, mentre Historisches Wörterbuch der Philosophie fa la storia dei concetti, come gli è stato rimproverato più volte, in modo idealistico, ossia studiandone lo sviluppo interno senza riguardo alle condizioni sociali, politiche, economiche che ne determinano la storia, Geschichtliche Grundbegriffe, per la natura stessa del suo oggetto, parte per una più decisa presa di posizione dei suoi autori, è molto più attento alle implicazioni che legano i mutamenti sociali e materiali ai mutamenti teorici e concettuali. I concetti sono concentrati di contenuti di significato, che trapassano nella parola dalla realtà effettuale storica, che è sempre diversa; questo è quanto afferma Koselleck nel suo scritto programmatico. La storia dei concetti, grazie anche alla diffusione di strumenti fondamentali come Historisches Wörterbuch der Philosophie e Geschichtliche Grundbegriffe, è divenuta rapidamente una metodologia influente nel campo delle ricerche di storia della cultura. Si sono moltiplicate opere di riferimento la cui impostazione può essere riportata all’orizzonte della storia dei concetti, anche quando non siano state elaborate da studiosi che provengono dalle tradizioni indicate sopra, Si pensi, per fare qualche esempio, allo Historisches Wörterbuch der Rethorik curato da Gert Ueding in otto volumi dei quali, a partire dal 1992, sei sono già apparsi; oppure, nel campo particolare dell’estetica, all’agile Lexikon der Aesthetik di Wolfhart Henckmann e Konrad Lotter, cui si sta affiancando l’amplissimo Ästhetische Grundbegriffe (previsto in sette volumi, due dei quali già pubblicati, a cura di Karlheinz Barck, Martin Fontius, Dieter Schlenstedt e altri). Al contempo, la storia dei concetti non è più confinata al solo ambito linguistico germanofono, ma la sua metodologia viene applicata sempre più di frequente anche a studi prodotti in Francia, in Italia, in Spagna, dei paesi di lingua inglese. In questo processo, era inevitabile che la storia dei concetti venisse a confrontarsi con la storia delle idee. I due orientamenti possono infatti venire utilmente integrati, dato che il loro oggetto è largamente coincidente. La storia dei concetti ha aiutato e può aiutare la storia delle idee a superare la concezione ristretta delle idee come unit-ideas, come mattoni invarianti che entrano nelle diverse costruzioni concettuali, alla volta di una concezione veramente dinamica del loro continuo evolversi e modificarsi; d’altro canto, dalla storia delle idee può venire l’impulso a superare una concezione troppo ristretta di quel che siano i concetti, allargando il campo dalla filosofia in senso stretto a tutta la Storia della cultura. Infine, va segnalato anche il movimento che ha portato da una considerazione degli elementi in senso stretto concettuali del linguaggio filosofico alla considerazione degli aspetti non concettualizzabili di quel linguaggio, quali immagini, metafore, paragoni ecc. In questo ambito la personalità di riferimento è Hans Blumenberg, formatosi proprio nell’ambiente dell’Archiv für Begriffsgeschichte, e teorizzatore della metaforologia. |