Il termine e il concetto di storia delle idee sono stati introdotti dallo storico americano Arthur O. Lovejoy (1873-1962), che può a pieno titolo essere considerato il fondatore di questo orientamento di studi. Lovejoy aveva dato vita, nel 1922, assieme ad alcuni collaboratori tra i quali spiccavano George Boas e Gilbert Chinard, allo History of Ideas Club; nel 1936 Lovejoy pubblica il volume The Great Chain of Being, che ricostruisce attraverso le varie epoche la storia dell’idea secondo cui il mondo costituisce una organicità, una pienezza, una scala ascendente di perfezioni e si presenta come un modello e una esemplificazione metodologica del nuovo orientamento di studi.

L’introduzione premessa al volume da Lovejoy può essere considerata una sorta di manifesto dei principi sui quali si basa il nuovo orientamento. Assieme al saggio del 1938, The History of Ideas costituisce una buona sintesi del metodo da lui propugnato. La storia delle idee nella concezione di Lovejoy “è qualcosa che è nello stesso tempo più specifico e meno limitato di quanto non sia la storia della filosofia” (Lovejoy 1936, p. 11). È più specifica in quanto concentra la sua analisi sulle singole idee e non si occupa dei sistemi filosofici in cui esse entrano a far parte; è meno settoriale in quanto mira a ricostruire il cammino di tali idee non solo nelle opere dei filosofi, ma anche nella storia letteraria, in quella scientifica, nella storia delle religioni, delle arti, in quella politica e sociale. Lovejoy non offre una definizione formale di ciò che possa essere considerato una idea nel senso da lui inteso. Piuttosto, egli indica alcuni esempi di queste “primarie unità dinamiche, persistenti o ricorrenti” nella storia del pensiero. Può trattarsi di “abiti mentali e presupposti impliciti” o non del tutto esplicitati, che operano nel pensiero di individui ed epoche (per es. la convinzione, tipica dell’Illuminismo, che la semplicità sia un valore in sé); di motivi dialettici (per es. la tendenza a ridurre le nozioni generali ai loro elementi sensibili); di influssi del pathos metafisico (per es. il pathos dell’oscurità, del monismo o del panteismo), ma anche, più semplicemente, di “una singola  proposizione o principio espressamente enunciato dai più eminenti fra gli antichi filosofi” (Lovejoy 1936, pp. 14-20). Nel 1960 Lovejoy dà invece questa esemplificazione: “tipi di categorie; pensieri che riguardano aspetti particolari di esperienza comune, presupposti impliciti od espliciti, formule sacre e modi di dire, teoremi filosofici specifici, ipotesi più vaste, generalizzazioni e impostazioni metodologiche di varie scienze” (Lovejoy 1960, p.36).

Lovejoy insiste soprattutto su due aspetti del suo metodo, la concezione delle idee come idee-unità (unit-ideas) e il carattere interdisciplinare della ricerca. Nella opinione di Lovejoy, esse sono le componenti relativamente semplici di insiemi più complessi, e che possono entrare a far parte di costruzioni concettuali tra loro diverse e lontane nel tempo (potremmo dire una sorta di mattoni concettuali che possono entrare nella costruzione di edifici il cui aspetto non ha nulla in comune). Il procedimento della storia delle idee potrebbe dirsi “in qualche modo analogo a quello della chimica analitica (...). Essa seziona i monolitici sistemi individuali e li risolve (...) nei loro elementi compositivi, fino a quelle che si potrebbero chiamare le loro idee-unità” (Lovejoy 1936, pp. 11-12). Tali idee-unità sono in numero relativamente limitato (la varietà dei sistemi e delle dottrine dipende piuttosto dai differenti modi di combinarle) ed è “ai comuni ingredienti logici o pseudo-logici o affettivi che si celano sotto le differenze superficiali che lo storico delle singole idee deve cercare di arrivare” (Lovejoy 1936, p.12).

Una volta isolata o identificata una idea-unità, si tratta però di seguirla “attraverso i diversi campi del sapere”, ricostruendo il suo percorso “attraverso tutte le sfere della storia in cui essa figura in misura notevole, sia quella della filosofia, oppure della scienza, della letteratura, dell’arte, della religione o della politica” (Lovejoy 1936, p. 21). Le idee sono mobili, mercuriali, mutano di collocazione, scompaiono e ricompaiono in contesti diversi (Boas 1969). La voga del giardino paesaggistico nel Settecento, per esempio, non interessa solo la storia del gusto, ma anche quella della filosofia, della pittura, della letteratura. Ricostruirne la fisionomia in uno solo di questi campi significa mancarne le caratteristiche essenziali, e lo stesso vale per moltissimi altri esempi. Lo studio della letteratura, in particolare, non può fare a meno dell’apporto costituito dalla storia delle convinzioni filosofiche, religiose, scientifiche. È impossibile capire Milton senza conoscere le idee del suo tempo in materia di fede e di esegesi biblica, ma anche in materia di teorie astronomiche. Inoltre è impossibile rimanere chiusi nell’ambito delle letterature nazionali, perché le idee non conoscono confini prestabiliti e seguirne la storia implica passare da un contesto linguistico all’altro: la storia delle idee, in questo, è imparentata allo studio comparato delle letterature. Infine, le idee non vivono solo nelle teorie dei grandi filosofi e dei grandi scrittori, e la storia delle idee deve ricercarle anche negli autori cosiddetti minori e nella mentalità comune: ad essa interessano “le manifestazioni specifiche di idee-unità nel pensiero collettivo di ampi gruppi di persone, e non solo nelle dottrine di un piccolo gruppo di profondi pensatori o di scrittori eminenti” (Lovejoy 1936, p. 25).

Il programma e i presupposti della storia delle idee caldeggiata da Lovejoy sono stati oggetto di un ampio dibattito e sono stati spesso aspramente criticati. Ad essere attaccata è stata, in particolare, la convinzione che si possano rintracciare delle unit-ideas, cioè che le idee possano essere considerate delle componenti relativamente invarianti che entrano in composti diversi. Si è parlato in proposito di una concezione atomistica, che non coglie la natura dei prodotti intellettuali che vorrebbe studiare e che soprattutto trascura le continue trasformazioni cui essi vanno incontro, e che rendono impossibile parlare di unità statiche che entrano in una storia, quando invece si tratta di complessi dinamici che si danno solo in continua trasformazione. Così si può dire che la storia dei concetti abbia criticato la storia delle idee proponendosi di seguire innanzi tutto la trasformazione cui i concetti vanno incontro, e che fa sì che termini identici possano nascondere contenuti intellettuali diversi, come pure che termini distinti abbiano lo stesso contenuto concettuale. E si è detto anche che mentre la storia delle idee finisce per privilegiare la continuità nella storia culturale, la storia dei concetti aspira a rendere conto non solo della continuità, ma anche della discontinuità che in essa si manifesta altrettanto spesso (Richter 1987). Sviluppando in parte argomentazioni simili, si era già rilevato da parte di linguisti (per es. Leo Spitzer) che la storia delle idee non teneva nel dovuto conto l’aspetto strettamente semantico delle idee studiate, mentre solo intrecciando storia linguistica e storia delle idee si può adeguatamente ricostruire il percorso dei concetti. Infine, ma per lungo tempo si è trattato dell’obiezione prevalente, si è detto che la storia delle idee alla Lovejoy studia le idee come un mondo separato, senza riguardo ai condizionamenti sociali che le fanno vivere, isolando le idee stesse dal loro substrato storico-sociale e facendole muovere in una sorta di empireo disincarnato.

Tutte queste obiezioni hanno avuto molto corso in Italia, dove a lungo la storia delle idee è stata guardata con molta diffidenza e molta sufficienza, in quanto poco assimilabile sia ai presupposti storiografici del neo-idealismo sia a quelli del marxismo (Piovani 1965, Garin 1959).

Le critiche all’impianto teorico della storia delle idee non hanno tuttavia impedito che essa, particolarmente nei paesi di lingua inglese, andasse incontro ad uno sviluppo ragguardevole, costituendosi come una tradizione di studi estremamente significativa e feconda per l’intero campo delle discipline storiografiche. Nel 1940 Lovejoy fondò il Journal of the History of Ideas, che è tuttora in attività e che ha prodotto una grande mole di contributi; nel 1960 ha avuto luogo la prima riunione dell’International Society for the History of Ideas, che annovera fra i suoi membri alcuni tra i maggiori studiosi della filosofia, della letteratura e delle arti; qualche anno dopo la morte di Lovejoy i discepoli hanno redatto un Dictionary of the History of Ideas in cinque volumi; ma, soprattutto, si sono moltiplicati gli studi ispirati, direttamente o indirettamente, al metodo di Lovejoy. In Italia, in particolare la rivista Intersezioni  si presenta, dal 1980, proprio come Rivista di storia delle idee, mentre il Lessico intellettuale europeo del c.n.r. stampa la rivista Lexikon Philosophicum con il sottotitolo Quaderni di terminologia filosofica e di storia delle idee, mentre non sono più rari i volumi e gli studi ispirati, almeno latamente, alla History of Ideas (Rossi 1999).

Bisogna dire infatti che, da un lato, gli sviluppi successivi della disciplina hanno in parte abbandonato le rigidità dei presupposti di Lovejoy; dall’altro, che ormai si può parlare di storia delle idee anche per studi che non provengono direttamente dalla metodologia del fondatore e mettono a frutto altri, e talora più fini, strumenti concettuali. Così, le obiezioni alla concezione delle unit-ideas hanno meno ragione di essere se riferite alle forme più recenti di storiografia delle idee, senza dire che spesso già le applicazioni di Lovejoy e dei suoi discepoli erano meno rigide di quanto poteva far pensare l’ideale di una analisi chimica dei concetti. D’altro canto, si è prestata sempre maggiore attenzione ai condizionamenti linguistici della storia delle idee, e oggi storia delle idee e semantica storica non potrebbero più dirsi campi separati o in competizione. Soprattutto, l’esigenza di mettere in rapporto storia delle idee e storia culturale e civile hanno fatto sì che si sia tentata una storia sociale delle idee (Darnton 1989) e che sempre più spesso si sia sentita la necessità di risolvere la storia delle idee in una più ampia e più comprensiva intellectual history  o storia della cultura (Mandelbaum 1965; Burke 1997; Kelley 1990; Bianchi 1989).

La storia delle idee intesa come una parte e uno strumento della storia intellettuale può esercitare una benefica influenza sulla storia della filosofia. Essa insegna infatti a non ridurre la storia della filosofia a una semplice interpretazione di testi, ma a ricercare i collegamenti tra le dottrine filosofiche e il più ampio contesto culturale in cui sorgono (Rossi 1999). Si pensi per esempio al caso della storia della scienza, in cui è necessario studiare anche i presupposti metafisici, i condizionamenti religiosi, gli interessi politici che hanno influenzato lo sviluppo scientifico, o a quello dell’estetica in cui le teorie sono spesso frutto anche di orientamenti di gusto, precettistiche artistiche, convinzioni di artisti, che debbono essere tenute in conto.

Il problema più urgente della storia delle idee sembra essere piuttosto quello di salvaguardare l’autentico carattere interdisciplinare e trasversale del metodo. Troppo spesso infatti anche i periodici specializzati presentano come storia delle idee quelli che sono buoni (o anche cattivi) saggi sostanzialmente interni ad una storia disciplinare tradizionale. Studi sullo sviluppo di un’idea all’interno della dottrina di un unico autore, o anche studi sui rapporti tra le posizioni di due autori lontani nel tempo (troppo spesso concepiti come applicazioni dell’equivoco concetto di influenza) non dovrebbero, a rigore, essere considerati studi di storia delle idee. Così pure, non si dovrebbero considerare pertinenti alla storia delle idee stricto sensu quegli studi che andrebbero piuttosto classificati come studi di letteratura comparata. Un’idea è qualcosa di diverso da un motivo letterario, anche se le riviste di storia delle idee sono spesso zeppe di lavori di questo genere. Infine, sarebbe auspicabile una sempre maggiore apertura verso campi disciplinari meno battuti: gli studi dedicati, per esempio, alla storia delle idee estetiche sono tuttora un’esigua minoranza.



Concetti, Continuità/discontinuità, Idee-unità, Geistgeschichte, Unit-ideas.



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http://www.ditl.info/lex/nomen_refs.php?nomen=160

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