Quello della storia delle mentalità è un ambito di studi sviluppatosi nei fondamenti teorici e nella pratica della ricerca nel contesto della rivoluzione storiografica del Novecento avvenuta sotto la cifra della scuola delle Annales. Caratteristica della terza generazione degli studiosi che fanno capo a tale orientamento, essa costituisce una delle ispirazioni originarie e originali degli innovatori degli anni Trenta ed è al tempo stesso strettamente connessa ad altri presupposti epistemologici, metodologici e tematici che appartengono a pieno titolo alla storiografia francese del Novecento, ma anche alle correnti più innovatrici europee e statunitensi delle scienze sociali e della storia. Se, infatti, capostipiti della storia delle mentalità così come oggi è intesa sono le due grandi opere di Marc Bloch, Les rois thaumaturges (1924) e di Lucien Febvre, Le problème de l'incroyance au xvie siècle (1952), sia pure nei rispettivi diversi orientamenti, l'intenzione di studiare i quadri mentali collettivi è indissolubilmente legata sia alla reazione antindividualista, sia all'opzione interdisciplinare, sia all'ispirazione strutturale nei contenuti, quantitativa e seriale nella metodologia affermatesi nella storiografia francese fra gli anni Trenta e gli anni Sessanta per poi diventare patrimonio comune della storiografia contemporanea. Ma certamente non può tacersi che radici lontane sono lispirazione kulturgeschichtlich dellopera di Burkhardt nella seconda metà dellOttocento, né che profonde suggestioni erano giunte dallattenzione centrata sulle credenze, sui riti, sul senso dellamore e della morte presenti in Herfsttij der Middeleeuwen di Johan Huizinga (1919) o che fra gli anni trenta e gli anni Cinquanta studiosi non coerentemente legati allambiente delle Annales come Febvre o ad esso del tutto estranei, come Norbert Elias abbiano praticato pioneristicamente strade poi divenute classiche per la storia delle mentalità, studiando la genesi delle paure collettive o il condizionamento delleconomia pulsionale caratteristico della modernizzazione occidentale. Quasi a proseguire loriginaria caratterizzazione politica impressa da Marc Bloch ai primi studi sulle mentalità, su un altro fronte, Ernst Kantorowicz, con The Kings Two Bodies (1957) contribuiva a legare insieme i temi delle ideologie, della propaganda e dei lessici politici, ponendosi in relazione trasversale e autonoma ma esercitando su di essi un grande ascendente con gli storici delle mentalità degli anni Settanta e Ottanta. Questi, infatti, sono gli anni in cui si addensa maggiormente la produzione di studi decisamente inquadrati in quella dimensione teorica. Non è infine casuale che la prima definizione degli ambiti di indagine che saranno poi propri degli studi sulle mentalità sia fortemente influenzata dalle stesse suggestioni che furono l'humus per la svolta della concezione storiografica dei grandi storici francesi degli anni centrali del secolo (Henry Berr, Ernest Labrousse, Emile Durkheim, Lucien Levy Bruhl, Maurice Halbwachs), che le elaborazioni più recenti sono venute in stretto dialogo con altri grandi punti di riferimento che hanno nome Michel Foucault o Pierre Bourdieu, e che il terreno privilegiato dell'incontro con altri ambiti disciplinari si sia sempre più addensato nellimpostazione antropologica degli studi storici. Può infatti apparire semplificatorio o eccessivamente banale, ma va rilevato che alla base dello studio delle mentalità in prospettiva storica sta la basilare acquisizione della nozione di altro, cui sono ricondotte le rappresentazioni mentali collettive e le pratiche culturali delle società preindustriali. Si assiste a uno slittamento dellidentificazione dellalterità culturale dal piano spaziale a quello cronologico. Opzione di fondo degli storici delle mentalità è infatti lirriducibilità delle attrezzature mentali delle società tradizionali a quelle contemporanee. Unopzione fondamentalmente storicista, ma in una declinazione che piuttosto che allidealismo o al materialismo storico appare vicina alla Begriffsgeschichte di Reinhart Kosellek. La grande varietà di interpretazioni e di declinazioni del concetto di mentalità (opportunamente dotato di una feconda ambiguità, come rilevato da Jacques Le Goff) impediscono di tracciare una definizione univoca di questo ambito di studi; specialmente nei suoi sviluppi più recenti, sotto tale etichetta sono stati annoverati studi dalle caratteristiche diverse, specie se si osserva la produzione al di fuori dai confini storiografici francesi, allinterno dei quali tuttavia questi studi hanno avuto il maggiore sviluppo. Va detto anzitutto che alla definizione di storia delle mentalità (al plurale) va aggiunta per chiarezza l'aggettivo collettive. In un certo senso è questo il discrimine più netto con la tradizionale interpretazione della storia della cultura o della storia delle idee. Loggetto delle indagini definito in generale, utilizzando lapparato concettuale e lessicale elaborato e utilizzato dai maggiori protagonisti di questa storiografia è quellinsieme di conoscenze, di saggezze anonime e diffuse, inconsapevoli o solo parzialmente consapevoli, di abitudini e modelli di comportamento automatici, condivisi e persistenti, diffusi in una cultura, e che costituiscono lattrezzatura mentale collettiva, la radice delle pratiche culturali. Credenze, visioni del mondo, sensibilità, percezioni e rappresentazioni della realtà spesso caoticamente strutturate in nebulose mentali di lunga durata, tali da costituire il basso continuo di una società. Fortemente legata alla prospettiva braudeliana della storia quasi immobile, la considerazione delle prigioni mentali in termini strutturali, di lunga durata, è all'origine di una concezione dicotomica (società tradizionali/società moderne) che scioglie i concetti periodizzanti e li riconduce ad una sola grande trasformazione. Implicitamente, ciò che viene posto al centro del cambiamento epocale non è la realtà strutturale, ma quella che si opera nel campo delle mentalità stesse. L'oscillazione terminologica, nella quale ha prevalso alla fine la locuzione storia delle mentalità è un indice della relativa indeterminatezza dell'oggetto e dell'approccio. Un'indeterminatezza sulla quale si è concentrato il dibattito teorico, che non a caso ha richiamato la tendenza alla bulimia onnicomprensiva dellorientamento degli studi (Michel Vovelle). Se però si fa riferimento alla pratica della ricerca e della produzione, che ha visto negli anni Sessanta-Ottanta l'affermarsi di un canone quasi ineludibile, tale indeterminatezza appare meno evidente: emergono come ambiti dindagine specifici il frequentatissimo tema degli atteggiamenti collettivi verso la morte (Alberto Tenenti, Philippe Ariés, Pierre Chaunu, Michel Vovelle), quello della differente percezione delle differenze generazionali (Ariés), gli studi sulle trasformazioni della concezione e la percezione del tempo (Le Goff), sui sistemi delle credenze religiose (Le Goff, Jean Delumeau) e sugli universi culturali eterodossi (Robert Mandrou, Carlo Ginsburg, Emmanuel Le Roy Ladurie, Alberto Tenenti, Jean-Claude Schmitt). Ad essi si affianca una vasta gamma di indagini sulle rappresentazioni (ad esempio la celebre lettura della società tripartita dellEuropa feudale messa in relazione da Georges Duby con un persistente riferimento trifunzionale presente nelle civiltà indoeuropee), sulle emozioni e i sentimenti, la paura, linsicurezza, il pudore (Delumeau, Jean-Claude Bologne), sulla simbolica del gesto e del corpo e sulla festa (Vovelle, Leroy Ladurie, Schmitt), sulle idee trasformatrici (Vovelle), sulle percezioni collettive, come ad esempio il significato dei codici cromatici (Michel Pastoreau), sulla costruzione della memoria collettiva degli eventi (Duby), sullo sterminato campo della messa in opera dei modelli mentali collettivi nellinfinita ripetitività del quotidiano (Michel de Certau, Daniel Roche), o sullambito, altrettanto sterminato, della religiosità popolare e della santità come dato storico-antopologico (Schmitt). Questi studi si congiungono con le rivisitazioni in chiave collettiva di campi specifici della storia della cultura e delle idee (la lettura, la circolazione dellinformazione), in cui svaniscono i confini fra cultura dotta e popolare, degerarchizzate e poste in relazione di circolarità (Roger Chartier, Robert Darnton, Natalie Zemon Davis, Carlo Ginsburg). Non dissimile loperazione condotta nel campo delle credenze e delle rappresentazioni attraverso il concetto di immaginario collettivo, che aspira a ricomporre la frattura fra generi letterari, fra invenzione tradizionale e invenzione dotta. Originale apporto di questi orientamenti è per quanto teorizzato in maniera relativamente episodica e incompleta o forse solamente enunciato il corto circuito fra dimensione biologica e culturale, entrambe considerate concorrenti nella definizione delle correnti profonde della storia umana; la storia delle mentalità, dunque, non appare disgiunta dallaltro grande orientamento di studi generato nella stessa temperie storiografica, quello della storia della cultura materiale. Né, daltronde, la molteplicità delle suggestioni provenienti da questi studi ha mancato di provocare un effetto di ritorno su ambiti più tradizionali della ricerca storica, quali la storia politica e sociale; si pensi alla biografia di S. Luigi di Le Goff, condotta sulla costruzione della rappresentazione collettiva del re santo o agli studi sullaristocrazia di Lawrence Stone, intrecciati con lindagine sulle morali sessuali e sulle radici mentali delle pratiche di trasmissione dei patrimoni, o ancora agli studi sulla mentalità e la politica nella Francia del Settecento e nella rivoluzione francese (Vovelle, Darnton) e al fecondo concetto di rappresentazione del sociale che ha ispirato molta storiografia della fine del xx secolo (Chartier). Tali opzioni tematiche hanno comportato a loro volta una forte opzione metodologica in senso quantitativo e allestensione smisurata del concetto di fonte; va però rilevato, a questo proposito, loriginale (e obbligata) congiunzione da parte degli storici delle mentalità di prospettive di analisi quantitative e impressionistiche, come pure sul secondo versante ladozione privilegiata della fonte iconografica, seriale o meno, con il forte supporto del ricorso a strumenti e orientamenti propri della scuola di Warburg (Ginsburg). Linflusso delle prospettive di osservazione e di interpretazione del passato preindustriale propri dello studio delle mentalità non hanno mancato di segnare anche alcuni dei più originali orientamenti che pure si collocano in contesti storiografici e tematici molto differenti; si pensi, ad esempio, allelaborazione del concetto di economia morale per la lettura delle idee collettive delle plebi inglesi del Settecento di Edward P. Thompson o al forte rapporto fra microstoria e studi sulle mentalità collettive e perfino ad orientamenti recentissimi della storia contemporanea che hanno dedicato attenzione alla simbolica del corpo (Sergio Luzzatto). Dopo gli anni Ottanta, in conclusione, più che un ambito di indagine specifico, la storia delle mentalità è divenuto un atteggiamento dello storico della cultura e della società e dello storico tout court nei confronti del proprio campo di osservazione; lesperienza e la riflessione degli anni Sessanta-Ottanta hanno insomma introdotto negli studi storici sia nuovi oggetti di ricerca, sia una diversa sensibilità e attenzione nei confronti di dimensioni ancora largamente inesplorate del passato. 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