Secondo il Croce di La storia come pensiero e come azione (1938), nell’uso scientifico della parola, storicismo è l’affermazione che la vita e la realtà sono storia e nient’altro che storia. Già ricorrente in Novalis, il termine prende a designare un orientamento di pensiero della metà dell’Ottocento tedesco, nel quadro della dissoluzione della filosofia della storia hegeliana (tra i suoi documenti archetipici va però annoverata la prolusione berlinese del 1821 di Wilhelm von Humboldt Über die Aufgabe des Geschichtsschreibers). La sua emersione, sullo sfondo della crisi del giusnaturalismo e come affermazione del principio dell’individualità storica, è dovuta da una parte alla problematizzazione moderna del mondo storico scoperto da Vico e dall’altra al configurarsi di una teoria della conoscenza storica. Sotto questa prospettiva va subito osservato che, malgrado la diagnosi ultranegativa del Popper di Poverty of Historicism (1957) e le posteriori declinazioni di correnti del pensiero postmoderno che affermano la fine di un’idea metastorica della storia o del concetto della storia universale – il cui paradigma è stato ricostruito da Reinhart Koselleck – nell’attuale era post-metafisica, lo storicismo rimane una presenza consistente nell’orizzonte contemporaneo. Il programma filosofico della metaforologia di Hans Blumenberg (dietro il quale ci sono Ernst Cassirer e Erich Rothacker che, con l’Einleitung in die Geisteswissenschaften del 1919 e il progetto dell’Archiv für Begriffsgeschichte, ha dato un contributo decisivo alla relazione tra storicismo e scienze della cultura) in quanto ricostruzione non teleologica della storia del pensiero e dei concetti è esplicitamente ricondotto allo storicismo. Lo stesso Temps et récit (1983-85) di Paul Ricoeur ha impresso una svolta teorica al codice narrativo e temporale del discorso storiografico. Più in generale, secondo Otto G. Oexle in ‘Historismus’. Überlegungen zur Geschichte des Phänomens und des Begriffs (1986) e Georg G. Iggers (tra i collaboratori della rivista americana History and Theory) in Historismus. Geschichte und Bedeutung eines Begriffs (1996), nel panorama attuale se ne distinguono due tipi fondamentali: il relativistico e il metodologico. Il primo riguarda la dimensione della vita quotidiana – la doxa platonica, il mondo della vita husserliana; il secondo sviluppa l’episteme (categoria che di nuovo va da Platone a Foucault) della scienza storiografica e del pensiero della storia. Questo filone è stato sviluppato da studiosi come Dirk Fleischer, Friedrich Jäger, Horst W. Blanke, Burkhard Liebsch e soprattutto Jörn Rüsen, che ne ha fornito un quadro d’insieme in Grundzüge einer Historik (1983-1989), un titolo che si ricollega all’Historik di Johann G. Droysen (1937), caposaldo dello storicismo ottocentesco come teoria della conoscenza storica e del suo metodo.
Questa distinzione del neostoricismo è tuttavia una ripresa da Der Historismus und seine Probleme (1922) e Der Historismus und seine Überwindung (1924) di Ernst Troeltsch. Già in Droysen il compito della conoscenza storica come comprensione del passato non era disgiunto dalla questione sulle ragioni dell’interesse per la storia, focalizzata dal Nietzsche di Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben (1874) con una prospettiva tuttora ineludibile. Preoccupato di superare la crisi del pensiero storico prodotta dalla prima guerra mondiale e insieme di risolvere la questione del relativismo dei valori – vera spina nel fianco dello storicismo come filosofia –, Troeltsch mirava ad una storicizzazione universale come sintesi culturale in grado di mettere la storia al servizio della vita e di conservarne la scientificità. Il riferimento al mondo pratico della vita riproponeva inevitabilmente il nodo del rapporto originario tra storicismo ed ermeneutica (la cui persistenza è documentata ancora dal confronto del 1985 tra Koselleck e Gadamer su Hermeneutik und Historik. Dal punto di vista ermeneutico è fondamentale interrogare le risposte, cioè risalire alle domande primarie. Rispetto alla conoscenza storica il circolo ermeneutico si complica, poiché se ci si chiede da che cosa nasce l’interesse per la storia non si può non interrogare il quadro interpretativo della domanda stessa, il quale a sua volta si è già formato come risposta ad un contesto primario di domande. E ciò mette in questione la storicità del contesto vitale delle domande che costituiscono il discorso della conoscenza storica. Qui interviene l’idea della storicità e temporalità originarie di Sein und Zeit di Heidegger (1927).
A ciò vanno ricollegati due fatti determinanti. Il fallimento del tentativo di unificare scienze naturali e scienze spirituali ha spostato la questione del senso dalle sue radici esistenziali all’ambito della storia. Da ciò dipende quella costellazione di pensieri differenti e addirittura opposti – da Simmel e Rosenzweig a Lukács e Heidegger – accomunata dall’indagine sul senso della storia. Contemporaneamente nel periodo tra il 1870 e il 1914 in tutto l’Occidente la modernità conosce una nuova forma di sviluppo, che imprime un’armatura tecnica al mondo e ne cambia le coordinate spazio-temporali. Non è casuale che in parallelo con questo processo si costituisce la sociologia scientifica che, con Simmel e Weber, rientra a pieno titolo nell’orizzonte dello storicismo, poiché entrambi anche se in forme differenti mirano ad integrare in un’unità epistemologica teoria sociale e realtà storica. È significativo che questa venga meno nell’attuale sociologia sistemica della differenziazione funzionale di Luhmann, in cui cadono le categorie di soggetto, oggettivazione, progetto e fini. Il contesto costruttivistico della teoria luhmanniana è postmoderno, proprio perché non presuppone più la storicità come progetto della modernità: una conseguenza dei cambiamenti prodotti dalla seconda fase dello sviluppo dell’armatura tecnica, in particolare nella struttura della comunicazione sociale. Una conferma viene dal confronto tra la tesi di Arnold Gehlen sulla fine del moderno e sulla cosidetta Posthistoire, sostenuta in Die Säkularisierung des Fortschritts (1978) e quella di Jürgen Habermas su Die Moderne. Ein unvollendetes Projekt (1981). Se ne può dedurre che lo storicismo è un orientamento della riflessione che la modernità conduce su di sé come progetto della sua stessa storicità; il neostoricismo nasce dalla radicalizzazione della crisi di senso dell’idea di storia nell’orizzonte post-moderno.
L’abbozzo storico trova così un filo conduttore. Nella prima fase lo storicismo si propone come una critica della ragione storica. Nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften (1883) di Wilhelm Dilthey, la questione centrale della validità di queste scienze si pone come esigenza di raccordo tra l’individuale e il generale. Accogliendo la dimensione dialogica dell’ermeneutica, Dilthey individua nel concetto di esperienza vissuta l’elemento di mediazione fra comprensione di sé e dell’altro. Allo sviluppo di questo nucleo sono dedicate soprattutto le ultime opere, tra cui Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften (1910). L’esperire vitale dell’uomo si esprime oggettivandosi in un mondo storico, la cui conoscenza richiede comprensione. L’analisi riguarda perciò sia il metodo di questa conoscenza dei sistemi di cultura storicamente dati, che la struttura del mondo come prodotto dell’uomo quale essere essenzialmente storico (homo historicus). Sfociando nel problema centrale della coscienza storica, lo storicismo di Dilthey ripropone quindi un confronto critico con la concezione della storia come formazione interiore dei concetti, elaborata dal primo Hegel: dall’originaria impostazione neo-kantiana si è sviluppata un’idea del fondamento delle scienze spirituali che recupera non pochi elementi del concetto hegeliano di spirito. Assai diversi e coerentemente neo-kantiani sono invece i presupposti del filone definibile come filosofia critica della storia (Raymond Aron). Il suo filo conduttore è la teoria dei valori. Importante, su questa base, la critica a Dilthey di Wilhelm Windelband che, rifiutando la distinzione tra scienze naturali e spirituali e opponendole quella tra scienze nomotetiche (generali) e ideografiche (individuali), poneva come oggetto della conoscenza storica i valori universali costitutivi di un’ipotetica coscienza normale. La teoria dei valori trova un articolato sviluppo (influente su Weber) in Heinrich Rickert, il quale mantiene la distinzione tra natura e cultura e relative scienze. La realtà del mondo storico si presenta come cultura perché l’attività umana riceve il suo senso dal rapporto con la sfera trascendente dei valori, di cui la cultura stessa è realizzazione. La conoscenza storica, si dice nel tardo System der Philosophie (1921), è il luogo di riconoscimento dei valori. Fin qui è assente dallo storicismo quella dimensione della società e della relativa teoria che entra invece a farne parte con Simmel e Weber. L’interesse storicistico di questi pensatori non sta solo nella loro teoria della conoscenza storica – debole peraltro nel relativismo psicologistico di Die Probleme der Geschichtsphilosophie di Simmel (1892), quanto potente nella proposta weberiana degli idealtipi, come sintesi tra realtà storica e osservazione sociale – ma anche e soprattutto nel raccordo con le loro diagnosi della modernità come mondo storico di nuove forme. A Weber in particolare Troeltsch deve l’attenzione dedicata al problema (assolutamente primario) del rapporto tra Cristianesimo e storia. Nella religione egli individua valori trascendenti, irriducibili alle sfere dell’etica, della politica e dell’estetica. Negli scritti citati Troeltsch teorizza la relazione degli eventi storici con un senso garantito da valori assoluti immanenti alla storia stessa. Nelle tarde opere del periodo 1936-1942 – fondamentali per la stessa ricostruzione storica dello storicismo – anche Meinecke ha collocato nella storia un senso assoluto, senza tuttavia trovarne il fondamento.
Nel riallacciarsi alle distinzioni di Troeltsch, larga parte del neostoricismo rinunzia per varie ragioni – cui non sono estranee le vicende storiche del Novecento – proprio a questo orizzonte di senso. La domanda è se con tale rinunzia il mondo pratico della vita non risulta de-storicizzato. In questa questione – cui nella cultura italiana hanno contribuito soprattutto studiosi di scuola napoletana come Pietro Piovani, Fulvio Tessitore, Giuseppe Cantillo e altri – viene in discussione la radice teologica dell’idea occidentale di storia. Se è così, Troeltsch dal fronte storicista e Benjamin da quello antistoricista hanno posto dei punti fermi ad una riflessione sulla storia tra modernità e post-modernità che ha tra i suoi compiti la ridefinizione della temporalità storica.

Canone, Critica della ragione storica, Filosofia critica della storia, Idealtipi, Posthistoire, Post-metafisica, Spirito del tempo, Visione del mondo.

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