La corrispondenza e la relazione tra gli studi sulla traduzione, più comunemente conosciuti come Translation Studies, e gli studi culturali è più evidente di quanto si possa immaginare. Gli studi sulla traduzione nascono come disciplina intorno al 1976, quando André Lefevere, uno dei più eminenti teorici della traduzione del nostro secolo, accolse la proposta di chiamare Translation Studies quell’ambito di studi che riguarda i problemi derivanti dalla produzione e dalla descrizione delle traduzioni (Lefevere 1978). Più precisamente, il termine venne per la prima volta usato da James Holmes nel suo saggio The Name and the Nature of Translation del 1972, in cui Holmes considera la definizione translation studies appropriata per una disciplina che si pone due obiettivi: descrivere il fenomeno della traduzione secondo l’esperienza personale (descriptive translation studies), e stabilire i principi generali attraverso cui detti fenomeni possono essere spiegati (theoretical translation studies). Da qui prese le mosse l’iniziativa di Lefevere e dei successivi teorici, il cui scopo era quello di riconoscere a questo campo di studi e di ricerca, che fino ad allora era rimasto per lo più oscurato o comunque relegato ad una branca minore degli studi di letteratura comparata o ad una specifica area della linguistica, una posizione che gli permettesse di assurgere a disciplina degna di figurare accanto a quelle già formalizzate. Non che fino ad allora la traduzione non fosse stata oggetto di teorizzazione: negli anni Sessanta, vale la pena menzionare la scuola di Tel Aviv e i suoi due massimi esponenti, Gideon Toury e Itmar Even-Zohar. Quest’ultimo coniò la definizione di Polysystem Theory per riferirsi alla rete di sistemi correlati in un rapporto dialettico all’interno del quale egli inserisce anche il sistema della letteratura tradotta (Veschi 1998, p. 6). Secondo Even-Zohar, la letteratura non è che un elemento di quel complesso di sistemi integranti che si definisce cultura. Determinanti diventano fattori sociali, culturali, ideologici, oltre che letterari e linguistici. La traduzione, in questa cornice, è dunque vista sempre più come fenomeno di comunicazione interculturale e sociale (Even-Zohar 1995). Le teorie di Even-Zohar e Toury prendono, tra l’altro, spunto dalle considerazioni di Juri M. Lotman (1922-1993) per il quale “il testo in generale non esiste in se stesso, esso è inevitabilmente incluso in un contesto storicamente determinato o convenzionale” (Lotman 1995, pp. 88-89).

È del 1972 l’opera cui si deve la prima trattazione sistematica del problema della traduzione: After Babel di George Steiner, in cui vengono esposte in maniera dettagliata le teorie dei più grandi scrittori che si sono occupati di traduzione dall’antichità ad oggi, dedicando particolare attenzione alla relazione tra traduzione e multilinguismo. Fino agli anni Settanta si trattò, comunque, di interventi isolati che non riuscirono a trasformare questo campo di studi in una vera e propria scienza. Coloro che più avanti si mossero all’interno dei Translation Studies rivolgeranno le loro attenzioni non tanto al prodotto quanto al processo, al fine di chiarire cosa determina le scelte del traduttore. A questa fase di riconoscimento contribuì in modo decisivo la pubblicazione in quegli stessi anni di Translation Studies (1980) di Susan Bassnett, che consolidò vari aspetti del campo degli studi sulla traduzione, intesa come disciplina autonoma. Dopo una prima parte in cui si analizzano le questioni centrali della traduzione (per es. il problema dell’equivalenza o il concetto di traducibiltà e intraducibilità) la Bassnett ci offre un’esauriente storia dell’evoluzione della teoria della traduzione, dai romani ai giorni nostri, per finire con un’analisi dei problemi specifici legati alla traduzione letteraria (di poesia, di prosa e di opere teatrali), dimostrando come la teoria della traduzione e l’analisi comparativa possano essere utili anche ai fini della pratica. Questo testo divenne, a ragione, una vera e propria icona degli studi sulla traduzione, soprattutto perché per la prima volta le questioni ad essa legate venivano affrontate in modo sistematico e completo. Da questo momento in poi l’opera tradotta non venne più considerata secondaria rispetto all’originale, bensì opera assolutamente autonoma. Il passo successivo si compì nel 1985 con la pubblicazione di The Manipulation of Literature di Theo Hermans, un’antologia di saggi che guardano alla traduzione come un genere letterario primario che le istituzioni sociali hanno a disposizione per manipolare una data società al fine di costruire il tipo di cultura desiderata. La tesi della manipolazione è quella che poi evolverà nella fase successiva che si può definire di costruzione culturale. L’antologia di Hermans contiene anche saggi dei già citati teorici Bassnett e Lefevere, i protagonisti, potremmo dire, della seconda fase. Tra gli interventi di Lefevere in questa antologia vale la pena citare, Why waste our Time on Rewrites? The Trouble with the Role of Rewriting in an Alternative Paradigm, in cui viene per la prima volta introdotto il termine e il concetto di riscrittura (rewriting), che si riferisce a quei processi, inclusa la traduzione, in cui il testo originale viene reinterpretato, alterato o manipolato. Secondo questa teoria, i criteri della riscrittura sono dettati dalla ideologia del traduttore (a volte anche inconsapevole) e dalla poetica predominante dell’epoca. È andando verso questa nuova prospettiva di ricerca che la relazione con gli studi culturali si fa sempre più evidente. Negli ultimi venti anni del secolo scorso i due teorici Bassnett e Lefevere hanno continuato a collaborare al fine di individuare le relazioni interdisciplinari tra gli studi sulla traduzione e gli altri campi di studio. Nel 1990 i due teorici suggerirono una svolta nell’ambito degli studi sulla traduzione, la cosiddetta cultural turn, svolta culturale, che prese appunto come riferimento gli studi culturali. Il testo che si fece portatore di questa svolta è Translation, History, and Culture, dove l’aspetto innovativo, che ci riguarda più da vicino, è l’attenzione data alla relazione tra le due discipline. La svolta culturale, che caratterizza da questo momento in poi l’approccio alla traduzione, vede la cultura non più come un’unità stabile, ma come un processo dinamico che implica differenze e incompletezza e che richiede alla fine una negoziazione, di cui la traduzione si fa portatrice. Il cosiddetto gruppo dei manipolatori (manipulation group) ha posto proprio l’accento sulle implicazioni ideologiche della traduzione, a partire da interrogativi quali: che tipo di testi si traducono in un dato sistema letterario? come e perché vengono tradotti questi testi?. È ormai superata l’era in cui alla traduzione veniva riconosciuta una posizione inferiore nell’orizzonte culturale, e in cui la linea di demarcazione tra la traduzione e gli altri campi di ricerca letteraria e linguistica era ancora molto netta. Oggi la relazione tra la traduzione e gli altri campi di studio è più che mai evidente. L’attenzione verso l’alterità e il diverso, ad esempio, è quanto accomuna gli studi sulla traduzione ad ambiti di ricerca, quali l’etnografia o gli studi (post)coloniali. Con questi ultimi gli studi sulla traduzione condividono la critica all’antico dominio del source text in quanto testo originale. La scuola brasiliana di studi sulla traduzione, ad esempio, definita cannibalistica e diretta dai fratelli de Campus, esemplifica un nuovo approccio in tal senso, poiché studia la questione della rappresentazione dell’originale attraverso una nuova cultura liberata con metafore di cannibalismo e di trasformazione diabolica. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, la traduzione cominciò a rapportarsi a questioni quali quelle del gender. La Scuola Canadese, ad esempio, ha usato la teoria femminista per analizzare la condizione di inbetweness della traduzione, attraverso il rifiuto della bipolarità tra testo di partenza e testo d’arrivo, che richiama il rifiuto dell’opposizione binaria da parte dei modi di differenziazione tipiche degli studi sul gender.

Gli interventi sulla scia della svolta culturale degli studiosi Bassnett e Lefevere non si fermarono al 1990. Nel 1992 Lefevere pubblicò ben tre testi sulla traduzione, rispettivamente, Translation, Rewriting, and the Manipulation of Literary Fame, Translation/History/Culture: A Sourcebook e Translating Literature, testi pubblicati presso note case editrici, quali la Routledge e la mla Press, aspetto questo che documenta il prestigio dell’emergente disciplina. Di lì a poco vennero anche fondate delle riviste dedicate agli studi sulla traduzione, quali The Translator e Target. È il periodo in cui si diffondono enciclopedie sul tema e gli studi sulla traduzione entrano anche nelle accademie sotto forma di master e dottorati. I Translation Studies, insomma, conoscono in quegli anni il loro periodo d’oro. Ci si rende conto che la traduzione è necessaria all’interazione fra le culture e quest’ultimo aspetto avvicina sempre più gli studi sulla traduzione agli studi culturali.

Il testo rappresentativo di questa relazione è ancora una volta un testo curato da Bassnett e Lefevere, Constructing Culture del 1998. Si tratta di una raccolta di saggi che presentano gli sviluppi più recenti nel campo della teoria, della ricerca e dell’insegnamento della traduzione. Il saggio finale, scritto dalla Bassnett e intitolato The Translation Turn in Cultural Studies annuncia una nuova era nella ricerca interdisciplinare. Vale la pena analizzarlo in modo più dettagliato. Come afferma la Bassnett le due discipline sembrano già condividere la natura ibrida della loro entrata in scena, quel loro essere a metà tra gli studi letterari e la linguistica per gli studi sulla traduzione e gli studi letterari e la sociologia per gli studi culturali. Per entrambe gli anni Settanta rappresentano un periodo di passaggio, di riconoscimento di interdisciplinarietà. Si fanno sempre più evidenti i parallelismi, soprattutto nel tentativo comune di ampliare lo studio della letteratura inserendo, ad esempio, lo studio delle funzioni che un testo svolge in un dato contesto. L’aspetto interessante del saggio della Bassnett è l’individuazione di tre fasi evolutive nella storia delle due discipline che sembrano corrispondere. Partendo dall’evoluzione storica degli studi culturali, tracciata da Anthony Easthope nel suo saggio But what is Cultural Studies? la Bassnett ci informa che la prima fase conosciuta dagli studi culturali è quella del 1960 definita culturalista (caratterizzata dall’ampliamento del concetto di cultura); a questa segue una fase strutturalista nel 1970 (caratterizzata dall’analisi della relazione tra testualità ed egemonia), cui per finire segue una terza ed ultima fase, quella post-strutturalista del 1980 (caratterizzata dal riconoscimento del pluralismo culturale). Queste tre tappe rappresentano un’evoluzione nel riconoscimento degli studi culturali in quanto disciplina autonoma. La stessa tripartizione viene applicata dalla Bassnett agli studi sulla traduzione. Si individua una fase culturalista nei lavori di studiosi quali Nida, Newmark, Catford e Georges Mounin, i quali già pensano in termini culturalisti anche se rimangono ancora troppo sconnessi dalla storia. La fase strutturalista è sovrapponibile – secondo la ricostruzione della Bassnett – alla fase cosiddetta polisistemica di Even-Zohar, caratterizzata da sistemi e strutture. La fase poststrutturalista, infine, che vede gli studi culturali spostare i propri confini geografici dall’Inghilterra ai paesi d’oltreoceano, quali gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia, e che soprattutto rivolge l’attenzione a questioni quali l’identità culturale, il multiculturalismo e il pluralismo linguistico, è individuabile anche nell’ambito degli studi sulla traduzione, che, in questa fase, rivolge l’attenzione alla sociologia, all’etnografia e alla storia nel tentativo di approfondire i metodi di analisi dei testi in quel processo di transfer interculturale che è la traduzione. Il vero punto di incontro dunque tra le due discipline risale agli anni Novanta, quando gli studi culturali conoscono una dimensione comparativa necessaria ad un’analisi interculturale, e gli studi sulla traduzione spostano la loro attenzione da una nozione antropologica di cultura ad una di culture al plurale. Entrambi i campi di studio prendono coscienza cioè di un contesto internazionale. Gli studi sulla traduzione abbandonano i dibattiti attorno a temi quali l’equivalenza (concetto considerato fino ad allora universalmente applicabile), per concentrarsi più sui fattori che interessano la produzione dei testi nell’attraversamento dei limiti linguistici, mentre gli studi culturali abbandonano la loro posizione di opposizione ai tradizionali studi letterari per concentrarsi più sulla questione delle relazioni egemoniche nella produzione dei testi. Sia gli studi culturali che gli studi sulla traduzione riconoscono l’importanza di comprendere i processi di manipolazione che avvengono nella produzione dei testi, poiché ogni scrittore è il prodotto di una particolare cultura, di una specifica epoca, e le opere riflettono fattori quali la razza, il genere, l’età, la classe, così come le caratteristiche stilistiche e individuali. Il traduttore dunque non può più limitarsi ad una mera analisi linguistica del testo da tradurre, deve anche essere a conoscenza delle relazioni tra quel testo e il sistema. Alla luce di quanto detto è evidente quanto affini siano le questioni poste e affrontate dalle due discipline. Come afferma la Bassnett, lo studio della traduzione, così come lo studio della cultura, necessita una pluralità di voci. E, allo stesso modo, lo studio della cultura richiede sempre un esame dei processi di codificazione e decodificazione che comprendono la traduzione (Bassnett 1998).

Riguardo la ricaduta italiana degli studi sulla traduzione non è possibile tracciare un’evoluzione altrettanto costante ed intensa pari a quella inglese, ma i contributi non sono mancati. Il ventesimo secolo si fa testimone di un crescente interesse per quest’ambito di studi. Emerge la figura del traduttore professionista commissionato dalla stessa casa editrice e la traduzione conosce un periodo di intensa attività. È doveroso segnalare il contributo di studiosi quali Benvenuto Terracini (1886-1968) e Gianfranco Folena (1920-1994), i quali si basarono su una visione più dinamica del fenomeno della traduzione piuttosto che su una contrapposizione statica di principi, enfatizzando soprattutto la tensione cui è sottoposto il lavoro del traduttore e il valore aggiunto che deriva dalle difficoltà incontrate. Nel 1989 è stato istituito presso l’Università Cattolica di Lovanio il cetra (Centre for Translation, Communication and Culture) che annovera Josè Lambert fra i suoi fondatori. Il centro è attivo nella ricerca all’interno della est (European Society for Translation Studies). È utile altresì indicare l’esistenza di alcune riviste legate alla traduzione in Italia quali Il Traduttore Nuovo, pubblicazione della aiti (Associazione Italiana Traduttori ed Interpreti) o Testo a fronte, semestrale di teoria e pratica della traduzione letteraria.

Oggi diversi studiosi italiani continuano ad interessarsi ai vari aspetti della traduzione.

È d’uopo menzionare il recentissimo contributo di Umberto Eco e del suo libro Dire quasi la stessa cosa (2003), in cui la traduzione è questione centrale. Il libro nasce da una serie di conferenze e seminari sulla traduzione tenuti a Toronto, a Oxford e all’Università di Bologna negli ultimi vent’anni e più che proporsi l’elaborazione di una teoria generale della traduzione, cerca piuttosto, come tiene a precisare lo stesso Eco, di “mantenere il tono di conversazione (...)” prendendo le mosse “da esperienze concrete e personali” essendo egli stesso traduttore e autore tradotto (Eco 2003, p. 12). Non a caso Eco parla di traduzione in termini di negoziazione (processo – sottolinea Eco – preceduto da un atto di interpretazione), in cui il traduttore si pone come negoziatore tra una cultura di partenza e una d’arrivo.

Traduzione, dunque, come pratica che pone al centro non semplicemente il sistema linguistico ma l’intera enciclopedia culturale.

 



Cannibalistismo, Cultural turn, Equivalenza, Fedeltà, Fonte, Intraducibilità, Manipulation, Negoziazione, Polysystem theory, Rewriting, Riscrittura, Source-text, Target-text, Testo d’arrivo, Testo di partenza, Traducibiltà.



http://est.utu.fi/

http://www.arts.kuleuven.ac.be/cetra/#general

http://www.intralinea.ithttp://est.utu.fi/

http://www.marcosymarcos.com/taf.htm

http://www.stjerome.co.uk/journal.htm

http://www.tau.ac.il/~toury/transst/index.html

http://www.utdallas.edu/research/cts/

http://www.warwick.ac.uk/fac/arts/BCCS/home.htm



Baker, M., a cura, 2001, Routledge Encyclopedia of Translation Studies, London, Routledge.

Bassnett S., Lefevere A., 1998, Constructing Culture, Essay on Literary Translation, Clevedon, Multilingual Matters.

Bassnett, S., 1980, Translation Studies, London, Methuen; trad. it. 1993, La traduzione. Teoria e pratica, Milano, Bompiani.

Bassnett, S., 1996, “Translation Studies”, in M. Payne, a cura, A Dictionary of Cultural and Critical Theory, Cambridge, Blackwell, pp. 540-541.

Bassnett, S., Lefevere A., 1990, Translation, History and Culture, London, St. Martin's Press.

Bassnett, S., Trivedi H., a cura, 1999, Post-colonial Translation. Theory and Practice, London, Routledge.

Easthope, A., 1997, “But what is Cultural Studies”, in S. Bassnett, a cura, Studying British Cultures. An Introduction, London, Routledge, pp. 3-18.

Eco, U., Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003.

Even-Zohar, I., 1995, “La posizione della letteratura tradotta all’interno del polisistema letterario”, in S. Nergaard, Teorie contemporanee della traduzione, Milano, Bompiani, pp. 227-238.

Folena, G., 1994, Volgarizzare e tradurre, Torino, Einaudi.

Hermans, T., 1985, The Manipulation of Literature, Bekkenham, Croom Helm.

Holmes, J. S., 1972, The Name and Nature of Translation Studies, Amsterdam, Translation Studies Section.

Lefevere, A., 1978, “Translation Studies. The Goal of the Discipline”, in J. S. Holmes, J. Lambert, R. Van den Broeck, a cura, Literature and Translation. New Perspectives in Literary Studies with a Basic Bibliography of Books on Translation Studies, Louvain, Acco.

Lefevere, A., 1992a, Translation, Rewriting and the Manipulation of Literary Fame, London, Routledge; trad. it. 1998, Traduzione e riscrittura. La manipolazione della fama letteraria, Torino, Utet.

Lefevere, A., 1992b, Translation/History/Culture. A Sourcebook, London, Routledge.

Lefevere, A., 1992c, Translating Literature, New York, The mla of America.

Lotman, J. M, 1995, “Il problema del testo”, in S., Nergaard, a cura, Teorie contemporanee della traduzione, Milano, Bompiani, pp. 85-103.

Nergaard, S., a cura, 1993, La teoria della traduzione nella storia, Milano, Bompiani.

Nergaard, S., a cura, 1995, Teorie contemporanee della traduzione, Milano, Bompiani.

Newmark, P., 1981, Approaches to Translation, New York, Prentice Hall; trad. it. 1988, La traduzione. Problemi e metodi, Milano, Garzanti.

Shuttleworth, M., Cowie, M., 1997, a cura, Dictionary of Translation Studies, Manchester, St. Jerome.

Steiner, G., 1972, After Babel, Oxford, Oxford UP; trad. it. 1994, Dopo Babele, Milano, Garzanti.

TARGET: International Journal of Translation Studies, Amsterdam, J. Benjamin.

Terracini, B., 1983, Il problema della traduzione, Milano, Serra e Riva.

Testo a fronte: Semestrale di teoria e pratica della traduzione letteraria, Milano, Marcos y Marcos.

The Translator: Studies in Intercultural Communication, Manchester, St. Jerome.

TRANSST: International Newsletter of Translation Studies, Tel Aviv.

Ulrych, M., 1997, Tradurre. Un approccio interdisciplinare, Torino, Utet.

Veschi, G., 1998, Tra arte e scienza. il fascino della traduzione: http://circe.lett.unitn.it/circe/html/cofin/pdf/traduzione.PDF.