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Luca Acquarelli, L’“epistemologia oculare” di Heart of Darkness [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Questo studio intende analizzare il romanzo di Conrad, Heart of Darkness, mettendo al centro la questione della visualità del romanzo, intesa come modo di narrare il mondo attraverso una facoltà sensoriale prevalente, la vista, declinata secondo le tecniche ottiche del tempo e secondo una certa cultura del vedere.
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Silvia Albertazzi, Il colore della memoria: la fotografia come dispositivo di metanarrazione nella
letteratura di lingua inglese contemporanea [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Negli ultimi due decenni del Novecento il riferimento alla fotografia è apparso con insistenza nell’opera di alcuni tra i più acclamati autori di lingua inglese, spesso come espediente metanarrativo, sorta di metafora visuale della scrittura sia in senso lato sia in accezione autoriflessiva. Scopo del mio lavoro è studiare l’omologazione fotografia=scrittura e fotografo=scrittore, verificando in primo luogo se e in quale misura l’arte della narrazione sia influenzata da quella fotografica, dal punto di vista tecnico prim’ancora che tematico o contenutistico.
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Bartolo Anglani, Lo sguardo nel romanzo [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
La mia ipotesi di ricerca riguarda la funzione dello sguardo nei testi narrativi: non dello sguardo del narratore, ma dello sguardo attribuito dal narratore ai personaggi. Riguarda cioè tutti i casi in cui l’atto del guardare è esplicitamente indicato e attribuito a uno o a più personaggi; in cui cioè il guardare è una funzione e non solo un evento.
Personaggi che guardano ce ne sono sempre stati nelle opere narrative, fin dall’antichità: ma tali sguardi non assumono mai, fino all’inizio dell’Ottocento, una funzione strutturale. Nei romanzi settecenteschi, per esempio, ci sono spesso personaggi che “guardano” altri personaggi, ma quasi sempre allo scopo di rendere conto di avvenimenti che altrimenti non potrebbero essere conosciuti.
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Simone Arcagni, Performance e media: per un'estetica del cinema postmoderno [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Il seguente lavoro rende conto di una parte di una ricerca in corso intitolata “Archeologia” del postmoderno cinematografico e che si prefigge di storicizzare i caratteri dell’estetica del postmoderno nel cinema, rintracciando alcuni nuclei tematici emersi dalle riflessioni teoriche sull’estetica del postmoderno tout court, e riportandole su una pratica e una teoria cinematografica ad esse contemporanea. I punti (3 in particolare) presi in esame in questa “archeologia” comparativa sull’estetica postmoderna, sono quelli del rapporto tra cinema e corpo alla luce delle pratiche e le teorizzazioni sulla performance e l’happening (1) (quello che viene approfondito in questa sede). Il rapporto proficuo con la tecnologia video (2) che da vita ad un cinema ibrido, dai corpi ibridi (e poi cyborg). In questo ambito di teorico e pratico si vengono ad incontrare ed entrano in comunicazione forme audiovisive diverse: nuovo documentario, videoarte, cinema undergound, cinema elettronico.
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Matteo Baraldi, La rappresentazione dei fanciulli perduti nell’Ottocento australiano [abstract presentato nel 2006, in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Se in ambito europeo la figura del ragazzo selvaggio rappresenta una possibilità di salvezza, nell’Ottocento australiano questo mito implica una minaccia al legame con la civiltà britannica. I bambini perduti nel bush, l’indefinibile entroterra che lambisce il deserto, assurgono a emblema di un’identità incerta: essere inghiottiti dalla natura rappresenta l’oggettivazione del timore to go native. Quest’ansia collettiva trasformata in mito nazionale ha trovato rappresentazioni non solo in letteratura, ma anche nelle arti figurative e i casi di cui vorremmo occuparci costituiscono un punto d’incontro di queste forme espressive appartenendo all’ambiguo spazio del “testo illustrato”.
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Serena Bella, Tra pittura e fotografia: il corpo come luogo della rappresentazione [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Cindy Sherman, Mariko Mori, Orlan, sono artiste dalla differente formazione, si collocano all’interno del clima postmoderno e tentano attraverso il proprio linguaggio artistico di porsi in prima persona come soggetto e come corpo della loro arte. Il soggetto postmoderno incarnato dalle tre artiste, è un soggetto frammentato, moltiplicato e decentrato. A ciò va aggiunto l’utilizzo di tecnologie più avanzate che partendo dalla fotografia, riflettono il gioco tra reale e fittizio, verità e manipolazione, originale e copia, provocando un’ibridazione di generi e forme, svelamenti dello stereotipo e del ruolo, appropriazione e citazione.
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Bio, M., Literature and Advertising. Theoretical Problems and Textual Analysis [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
In the literary works of our anthropological and cultural imagination exchanges and passages are not only allowed but also inevitable; the post-modern imagination is made up of an agglomeration of discourses that are no longer really separable, built up from texts that blend and quote one another, composing, each with its own specificities, the great family of the cultural products of our social scenario. A literary work, therefore, is not only a whole phenomenon, delimited hic et nunc by a beginning and an ending, but is a fragment of that complex, dense and boundless network that is given by the continual interrelations between human forms of communication and symbolization.
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Lorella Bosco, Autoritratti e questione identitaria nell’opera di Else Lasker-Schüler [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
L’opera di Else Lasker-Schüler si caratterizza per l’uso insistito di un procedimento di frantumazione/moltiplicazione del soggetto poetico, “io multiplo” che può assumere simultaneamente le più disparate e in apparenza contraddittorie identità. Tra queste, il soggetto poetico mostra però una predilezione spiccata per il travestimento orientale e in particolar modo per due figurazioni del sé: la principessa Tino von Bagdad e il principe Yussuf. Emblematico è in tal senso il fatto che Else Lasker-Schüler si presenti nei panni di queste due figure non solo nei suoi testi letterari, ma anche nella concreta realtà biografica.
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Paola Bozzi: PC: Personal Cinema e Poesia Cinetica. Superficialità e sensualità della cultura visuale digitale [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Il PC è un medium della superficie: la celebre tesi di V. Flusser fornisce una descrizione ontologica che si esprime allo stesso tempo sulle condizioni epistemologiche della percezione della letteratura digitale. Essa non si limita, infatti, alla generazione di un mondo immaginato attraverso il linguaggio: funziona per definizione in maniera diversa dalla letteratura tradizionale già solo per lo specifico ordinamento non lineare delle parti del testo ed esiste grazie ai media digitali e alle loro caratteristiche essenziali: interattività (partecipazione del fruitore alla costruzione dell’opera), messa in scena (programmazione di una performance immanente all’opera o dipendente dalla ricezione), intermedialità (collegamento, concettualmente integrativo, tra i media tradizionali d’espressione del linguaggio, dell’immagine e del suono).
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Claudia Calavetta: Gymnopédie: trasfigurazione corporea nella fotografia di Francesca Woodman [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Cresciuta nell’atmosfera del dibattito culturale tra gli anni Sessanta e Settanta, Francesca Woodman, in ventitré anni di vita, ha lasciato un corpus di cinquecento fotografie. Questo progetto si pone come studio monografico della sua opera, concentrandosi in particolar modo sul concetto di mutazione e trasfigurazione del corpo, tematica sviluppata in gran parte dei lavori della fotografa statunitense.
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Valeria Cammarata: Cabinet d’amateur. Un atlante della finzione nella letteratura di Georges Perec [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Le sperimentazioni letterarie dell’OuLiPo, il gruppo parigino fondato nel 1960 da François Le Lionnais e Raymond Queneau, sono state da sempre dedicate ad un’approfondita ricerca nel campo della multimedialità, dell’intermedialità e delle più varie forme di correlazione tra parola e immagine. Le creazioni che ne sono risultate si sono spinte tanto sul versante ecfrastico, quanto su quello di un più specifico intreccio tra “fonte” pittorica – o architettonica –, e realizzazione narrativa, in cui l’immagine ha finito con il costituire la struttura sottostante alla costruzione diegetica. È questo il caso del Castello dei destini incrociati di Calvino e de La vie: mode d’emploi di Perec.
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Andrea L. Carbone: Aristotle after Chronophotography [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
An Eadweard Muybridge photograph of a trotting horse has been chosen for the cover of Marta Craven Nussbaum’s paperback edition of Aristotle’s De motu animalium, published by Princeton University Press. From a para-textual point of view, the link between Aristotle and Muybridge can be explained as a fact of publishing design, i.e. as an elegant suggestion for the interested reader, who will empathically appreciate the matching, even if he does not know the work of Muybridge. Now, what if we take it seriously on a theoretical ground?
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Rosaria Carbotti: Immagini per una nuova mappa delle identità: cinema, fotografia e performance nelle teorie di Judith Halberstam [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
La produzione teorica legata all’ambito dei queer studies si è spesso fondata su un dialogo costante e problematico con le arti visive, ponendosi come interprete e contesto critico di riferimento rispetto alla rappresentazione delle identità di genere in immagini, siano esse ascrivibili a un contesto mainstream o prodotte e diffuse all’interno di circuiti culturali più circoscritti o ‘marginali’. Tale interesse appare evidentemente connaturato all’oggetto stesso dell’analisi queer, in primo luogo in relazione alla questione cruciale della visibilità, che permette a realtà e soggetti che sono cresciuti all’ombra della discriminazione fino a tempi recenti (e, in numerosi contesti sociali, sono ancora costretti alla clandestinità) di uscire allo scoperto ed essere ri-conosciuti dal mondo. Il termine stesso “visibilità” è evocativo di immagini, e rimanda a una forma di conoscenza che passa prima di tutto attraverso lo sguardo: l’essere definiti in parole e immagini libera dall’oppressione di una strategia sociale invalidante che relega nello spazio vuoto del non-essere chi semplicemente non riceve o non propone un’adeguata rappresentazione di sé.
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Anna Castelli: I dispositivi della visione nell’opera di Franz Kafka [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
L’intimo rapporto della produzione di Kafka con l’immagine non sembra essere stato sufficientemente studiato nelle sue potenzialità interpretative. L’apparente chiarezza rappresentativa ha reso possibili molteplici letture che tuttavia, concentrandosi sul significato da attribuire al contenuto, hanno tralasciato di indagare la natura di queste immagini, come anche le ragioni della loro formazione.
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Francesco Cattani: Riempire lo spazio australiano: un percorso figurativo verso l’individuazione di “luoghi comuni” [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Secondo Ross Gibson «[t]o white sensibility most of Australia is empty space, devoid of inhabitants, architecture, artefacts. It hasn’t been incorporated into the symbolic order, except as a signifier of emptiness, a cultural tabula rasa, a sublime structuring void louring over all Australian culture». Il punto di partenza di questa ricerca è l’idea dell’Australia come terra “nuova”, a partire dalla cancellazione (quasi un totale azzeramento) di diverse culture autoctone e da successive aggiunte provenienti da diverse nazioni. Si tratta di uno spazio nuovo, percepito come privo di una storia originale propria, e che quindi deve essere nuovamente raccontato, “riempito”: proprio come nel “vecchio mondo”, ogni tratto del territorio australiano deve essere ricondotto a una leggenda, a un mito, a un evento reale o meno.
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Maria Rosaria Dagostino: Forme e strategie della citazione visiva [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
La necessità di una nuova alfabetizzazione visiva richiede lo studio di pratiche discorsive e di scritture sempre più legate all’intertestualità del visivo che impongono, quindi, lo studio di una strategia che, finora relegata al testo scritto, assume nuovo statuto nell’immagine: la citazione. La citazione nelle immagini diventa pratica discorsiva privilegiata della comunicazione mediale nonché sistema estetico di una nuova società delle immagini, in cui l’accumulo, il magazzino dei ricordi, i repertori iconografici si producono e riproducono per una (ri)scoperta delle immagini. Soprattutto nella pubblicità e nelle reti dei movimenti mondiali la citazione visiva crea, non riporta, apre nuovi scenari interpretativi. La pratica della citazione visiva si definisce, quindi, come nuovo diritto di visione e versione sul mondo e le sue immagini.
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Flora de Giovanni: L’occhio del pittore, l’occhio dello scrittore: dialogo a distanza tra Virginia Woolf e
Vanessa Bell [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
È possibile stabilire una connessione tra tre saggi praticamente coevi – due di Virginia Woolf, il terzo della sorella pittrice, Vanessa Bell – che sembrano dialogare intorno alla differenza tra scrittura e pittura o, più precisamente, tra l’occhio dello scrittore e l’occhio del pittore?
In Mr Bennett and Mrs Brown del 1924, una articolata riflessione sul rinnovamento del romanzo, Woolf attacca la narrativa edoardiana di ispirazione realistica, in particolare quella di Arnold Bennett, condannandone l’eccessiva concentrazione sui dettagli materiali, a scapito dell’interesse per la psicologia del personaggio. Mrs Brown, dunque, incontrata casualmente in treno, diventa l’epitome di quella “natura umana” che lo scrittore cerca costantemente di afferrare e che sempre gli sfugge: gli occhi dei romanzieri edoardiani non si fermano su di lei, ma piuttosto sullo spazio circostante, attivando “lo strumento brutto, goffo, incongruo” della descrizione, di cui Woolf, come ogni modernista che si rispetti, diffida.
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Gabriella De Marco: Materiali dal quotidiano palermitano “ L’Ora”. Ipotesi per la formulazione di una guida on line delle fonti della storia dell’arte del XX secolo [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Questo progetto, attualmente in corso, si svincola, sul piano metodologico, da una ricognizione condotta nel solo ambito della storia dell’arte, per occuparsi di letteratura, cinema, teatro, musica, storia del giornalismo, architettura e arti figurative.
L’ipotesi di lavoro è partita dalla considerazione che una parte consistente della memoria documentaria del primo Novecento poteva affiorare, anche, dalle pagine di un quotidiano. Presupposto, questo, che ha comportato sul piano delle scelte la necessità di ampliare la ricognizione a tutti gli articoli culturali (e non solo a quelli ascrivibili al solo campo della critica d’arte) pubblicati sul quotidiano nel periodo compreso tra il 1909 ed il 1930. Ne è emersa una mole notevole di dati da cui affiorano indicazioni interessanti su versanti quali quello della critica d’arte, della storia della letteratura, della storia delle istituzioni culturali (Teatro Massimo di Palermo, Storia Patria di Palermo, associazioni sindacali di artisti e scrittori, Biennale di Venezia, Triennale di Monza ecc..) della storia del cinema e su settori interdisciplinari quali quello delle scritture al femminile.
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Marilisa Dimino: La visione della morte nella Danza Macabra di Tiziano Sclavi [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Sul finire del medioevo, a partire dal XII secolo circa, l’atteggiamento dell’uomo europeo verso la morte appare mutato. Tale svolta nella mentalità reca un segno caratteristico: cominciano a diffondersi massicciamente, nelle arti figurative, le immagini ripugnanti di cadaveri danzanti in stadi più o meno avanzati di putrefazione. Si diffonde dunque l’iconografia della Danza Macabra, nel quadro di un’esperienza particolarmente violenta della morte (l’osservazione dei corpi delle vittime dell’epidemia di peste del trecento), soprattutto se messa a confronto con un vivere che pareva fattosi molto più facile e dolce rispetto ai decenni precedenti.
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Carlo Mazza Galanti: La memoria visiva di Georges Perec [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
L’oggetto di questo lavoro vorrebbe essere il rapporto tra visualità e memoria in un’opera inedita di Georges Perec. Sto studiando i manoscritti di Lieux, progetto incompiuto che avrebbe dovuto consumarsi nell’arco di dodici anni (1969-1981) e che Perec ha abbandonato nel 1975. Dal materiale prodotto nel corso di cinque anni, Perec ha attinto in numerose occasioni, stabilendo una fitta rete intertestuale tra Lieux e le sue opere degli anni ‘70. Quello che vorrei mettere a fuoco è il tentativo di definizione, da parte di Perec, di una memoria a funzionamento topologico e il coinvolgimento prioritario della vista nell’adempimento di un tale proposito.
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Renata Gambino, Vedere l’Italia: Kunstbeschreibung e rappresentazione nel resoconto di viaggio di Karl Philipp Moritz [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
La ricerca si propone di analizzare la questione del rapporto tra le arti figurative e la scrittura nella Goethezeit partendo dall’importante snodo della speculazione sull’arte e l’estetica di Karl Philipp Moritz. L’esperienza Italiana di quest’autore, durata due anni (dal 1786-1788) e concisa in parte con quella di J. W. von Goethe, segna un profondo cambiamento nel suo rapporto con le opere d’arte e con la dimensione temporale. I concetti di spazio e tempo in collegamento con le arti figurative subiscono, attraverso il contatto diretto con la realtà italiana, un cambiamento che influenzerà non soltanto i suoi contemporanei (basti pensare al vistoso carteggio che si sviluppa tra gli autori allora presenti a Weimar a proposito del saggio di Moritz Über die bildende Nachahmung des Schönen), ma diventerà uno dei germi da cui prenderà il via il filone estetico-letterario della Frühromantik e del Romanticismo tedeschi.
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Susanna Ghazvinizadeh: La riscrittura dell’ebreo Fagin di Oliver Twist nel Graphic Novel di Will Eisner [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Una strategia diffusamente adottata dagli scrittori postcoloniali consiste nella rilettura e riscrittura di testi canonici della cultura dell’Impero britannico, strategia che si rivela funzionale al processo di decolonizzazione culturale. Tra le strategie di smascheramento, appropriazione e sovversione del discorso imperialista, la rilettura della sua narrativa gioca un ruolo fondamentale. L’obiettivo primario dello scrittore postcoloniale è rappresentato dal sovvertimento di quella che Helen Tiffin definisce “the master narrative of history” per riforgiare la storia in qualità di «a redefinable present rather than an irrevocably interpreted past».
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Francesca Giommi: Ritratti della Black Britain nella fotografia e nella letteratura [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Attraverso le immagini di tre fotografi londinesi di origini caraibiche, Armet Francis, Neil Kenlock e Charlie Phillips, la fotografia black British dà voce ad una realtà poco conosciuta, quella delle popolazioni di colore in Gran Bretagna dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, ritraendone gli eventi più significativi, quali le marce del movimento dei Black Panthers o il Carnevale caraibico di Notting Hill, i personaggi simbolo come Bob Marley e Muhammad Ali, accanto alla gente comune, ripresa per strada in momenti di vita quotidiana, a dimostrazione di quanto questi “altri londinesi” abbiano a lungo popolato la metropoli e contribuito al suo sviluppo.
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Gian Marco Girgenti: Raccontare per immagini. Tecniche, strumenti, iconologia [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Il racconto per immagini non è una prerogativa esclusiva dell’arte cinematografica. Tutt’altro: il cinema ha, semmai, sintetizzato letteratura “scritta” e le grandi produzioni narrative delle arti visive, in un percorso che lo ha però costretto in canoni che limitano di gran lunga le sue effettive potenzialità. C’è chi sostiene, del resto, che il cinema “non sia ancora nato”. Si pensi ad esempio ai grandi cicli compositivi eseguiti con diverse tecniche artistiche: il racconto della gloria ateniese espresso dalle metope del Partenone; la Colonna Traiana; l’Arazzo di Bayeux; il ciclo di affreschi con le “Storie della Vera Croce” eseguito ad Arezzo da Piero della Francesca.
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Anna Giuliani. Dagli eccessi della storia agli eccessi della rappresentazione: analisi di un mutamento di sensibilità tra romanzo e cinema australiano contemporaneo [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia]
Studiando la narrativa australiana risulta evidente come alla base di questa, possa generalmente essere individuato un problema identitario che gli scrittori, a partire dai settlers per arrivare agli esponenti del panorama culturale contemporaneo, sembrano continuare a fronteggiare. La questione della costruzione di un’identità australiana si ritrova difatti in un frequente ritorno al passato, sia attraverso la celebrazione dei propri eroi e del proprio territorio che nel riandare criticamente al rapporto con l’Inghilterra e con la tradizione da questa rappresentata. Alla pesante eredità del passato i romanzieri attingono al fine di creare un’epica nazionale, di venire a patti con una storia traumatica rappresentandola (Lawson) o deformandola (Carey); il rapporto con il paesaggio, il contatto con gli aborigeni e la prigionia dei convicts diventano così i grandi temi che costituiscono il subtext di tanti romanzi australiani (Malouf, Winton, White).
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Domenico Ingenito, Come se: Allo Specchio, Foto e Traduzione [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
In qualità di contatto sulla superficie del mondo, Fotografia e Traduzione operano come se nessuna differenza risiedesse nel loro trasformare i testi. Il Testo Letterario e il Mondo come Testo, sono due orizzonti che si aprono al soggetto nel loro essere percepibili e pertanto traducibili in una forma che spieghi e ripeta in avanti il segno originario. Da questo punto di vista il traducibile e il percepibile sono varianti di una stessa fenomenologia passibile di un medesimo percorso ermeneutico. Le foto in allegato sono la registrazione di una Performance in cui in scena appare il momento primo in cui lo sguardo si apre alle cose del mondo e il mondo rappresentato può essere interpretato, in uno specchio.
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Federica La Manna, Das Bild der Bilder: la melanconia nel romanzo settecentesco fra immagine e parola [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
La melanconia, malattia che utilizza il simbolo e in cui i simboli diventano malattia, viene raccontata nel romanzo settecentesco descritta con una pregnanza plastica eccezionale. In esso risulta sia come “inscriptio” che come “pictura” e mantiene sia gli elementi descrittivi della tradizione – quelli fissati dal Burton nella sua Anatomy – sia le nuove formulazioni teoriche dei medici e degli “psicomedici”.
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Giuseppe Leone, Piranesi: presupposto per la sublimità romantica delle disproporzioni e del mito di
potenza [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Comparse nel 1745, le Carceri di Piranesi si attestano sulle tracce di una rappresentazione delle categorie che ordinano le informazioni relative alla vastità, all’infinità, all’immanenza, in un processo di sintesi figurale che combina indizi mistici e inquietudini surreali. L’immensità del vuoto e la disproporzione degli elementi incisi sulle tavole si fanno così espressioni di un senso aorgico di potenza illimitante (Pezzella 2004, p. 45) e di un principio rivelativo di trascendentalità.
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Fabio Liberto: L’eroe shakespeariano tra visione romantica e palcoscenico [abstract presentato in occasione del convegno"Cultura visuale in Italia"]
In un libro del 1989 Jonathan Bate attribuisce al Romanticismo britannico una “costituzione culturale di tipo shakespeariano” sostenendo l’esistenza di un influsso e di una contaminazione estetica che va ben oltre l’interesse teatrale che i romantici ebbero per il drammaturgo elisabettiano. Alle numerose rappresentazioni teatrali si uniscono una grande quantità di testi critici dedicati a Shakespeare e alle sue opere, nonché una produzione iconografica di notevole interesse.
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Mirko Lino: Iconoclastia e Galileo: I nuovi dispositivi della visione in The Wild Blue Yonder di
Werner Herzog [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
L’analisi di The Wild Blue Yonder di Werner Herzog è importante per comprendere il particolare rapporto delle immagini del film con i dispositivi della visione a disposizione del regista tedesco. La pellicola si presenta sin dal carrello laterale iniziale sui mulini a vento, quelli di Lebenszeichen, come un testamento visivo dettato dall’autoreferenzialità delle immagini stesse che hanno reso immortali le sue pellicole. Infatti ritornano i segni di vita di Fata Morgana, i “sauri” e “l’uomo tecnico” di Lektionen in Finsternis, l’altopiano di Aguirre, mentre gli astronauti che si spingono ai confini dello spazio profondo sono i discendenti degli uomini sopravvissuti all’Apocalisse di Herz aus Glas che si spingevano con la loro fragile imbarcazione verso i confini dell’abisso.
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Serena Manno, Blob: un atlante delle immagini contemporaneo [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
La tradizione che si fonda sull’accostamento di immagini, già fiorente a partire dall’età moderna se pensiamo ai contributi degli autori di Kunst- und Wunderkammern, Cabinet d’amateur, MiniaturKabinetten, continua e si perpetua nelle sperimentazioni di artisti e negli studi di scienziati, medici e studiosi, anche dopo il decisivo apporto di Aby Warburg, fino ad inserirsi con forza nell’odierno frastuono visuale all’interno del quale, mediata dagli odierni dispositivi della visone, acquista nuove forme e configurazioni.
In onda da diversi anni, Blob, la trasmissione di Rai3 firmata da Enrico Ghezzi, sfrutta appieno le offerte multimediali dell’epoca postmoderna, mixando con cura immagini del cinema e della pubblicità, del telegiornale e degli show televisivi, del mondo sportivo e di quello musicale, del discorso politico e di quello religioso, con musiche e titoli che indirizzano lo sguardo dello spettatore attraverso una fitta rete di nuovi significati e ne guidano la comprensione.
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Francesco Paolo Marineo: Reality on a Finer Scale. Contemporary Cinema and Perceptive Afflictions [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
My study focuses on the perceptive alterations that modify the relations among and between characters and their narrative contexts in contemporary cinema, which I will analyze from the perspective of the crisis and disappearance of the subject. I am also interested in the ways these alterations can contaminate cinematographic language. Amnesia, insomnia, hallucination, blindness, memory dysfunctions, are all narrative elements that work both at transforming the cinematic mechanisms through what they tell and how, and at dismantling the subject inside the contemporary horizon of narration.
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Federica Mazzara, Dante Gabriel Rossetti: From Iconotexts to Photography [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
The main interest of my research is the aesthetic phenomenon of Doppelbegabung in the Victorian period, and especially its relevance to the complex figure and artistic works of Dante Gabriel Rossetti. In particular, I am interested in the relationship between Rossetti’s paintings and his poetical works, which he always attempted to connect, either through reciprocal reference, or through iconotextual works, recalling – at least theoretically – his greatest influence and artistic reference, William Blake. Rossetti’s Double Works, as these works have been defined by the most influential scholars of Rossetti, such as Jerome McGann, are characterized by a double expression, the verbal and the visual. More specifically, his verbal works are sonnets composed to “physically” accompany his own paintings, by invading the canvas or the frame; significant performative features of Rossetti’s Doppelbegabung.
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Valentina Mignano: Visioni di moda [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Quali sono i rapporti che legano le dinamiche di moda e consumo alla visual culture? Con la nascita della moda di massa si impone il “sempre uguale” dell’abito fatto in serie, e il "sex appeal dell'inorganico", in un'occidente sempre più globalizzzato, diviene la cifra della quotidianità.
Nel tentativo di indagare tali legami ci serviremo di Al paradiso delle signore, romanzo di Émile Zola che descrive il momento in cui lo spettacolo della merce comincia a permeare quotidianità, dando vita a un paesaggio surreale che trova in un emporio di mode parigino la propria sede esemplare; il direttore dell’emporio in questione è intenzionato a lanciare un tipo di stoffa che dovrà diffondersi "da un capo all’altro della Francia". Ecco gli albori di quella riproducibilità seriale che darà luogo alla progressiva diminuzione della visibilità del singolo a favore di una massa di identici.
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Tiziana Morosetti, Il teatro in bianco e nero: scatti sulla scena della drammaturgia nigeriana [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Alcuni fra i più recenti volumi critici dedicati alla drammaturgia africana postcoloniale, da Contemporary Nigerian Theatre (Obafemi, 1996) a The Athenian Sun in an African Sky (Wetmore, 2002), affiancano al testo un importante apparato fotografico che, lungi dall’arricchire semplicemente il volume, aiuta il lettore a dare vita alle opere in discussione. Questa operazione, che in altri studi avrebbe valore per lo più estetico, si riveste in questo caso di un ruolo fondamentale, laddove queste fotografie rappresentano spesso
l’unica via per saggiare la rappresentazione dal vivo dei testi teatrali africani. La maggioranza dei drammi dell’Africa postcoloniale è infatti raramente messo in scena al di fuori dell’area sub-sahariana, se facciamo eccezione per alcune università anglosassoni (come Leeds, con il suo Workshop Theatre) e diverse istituzioni accademiche americane (fra cui la University of Texas at Austin, faro dell’africanistica statunitense).
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Amanda Nadalini: Il museo come zona di contatto. Riscritture visuali e letterarie [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
L’idea fondante di questa ricerca è esaminare come certe pratiche di natura artistica – nella fattispecie la riscrittura degli spazi del museo e dei percorsi espositivi ad opera di artisti visivi (quali Fred Wilson, curatore e artista afroamericano la cui opera ha come oggetto il museo e le collezioni artistiche), assieme alla riscrittura letteraria del museo operata da alcuni scrittori (nella fattispecie, uno scrittore australiano eminentemente visivo quale Murray Bail) mettano in discussione certi presupposti fondanti del museo come istituzione per trasformarlo in una zona di contatto, costringendo il lettore/spettatore a rivedere le proprie aspettative di fruizione.
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Francesca Negro: DOMESTIC SKIN. Studies on the theme of domestic space in twentieth century
literature from the sixties to nowadays [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Passing from the first to second part of the twentieth century emerges in literature a specific attention to the domestic space, which represents the detachment of the protagonist from the external world. After the period of massive reconstruction subsequent to the Second World War the collective imaginary of the city and of the private house changes completely, reflecting new concepts that oppose the private to the public space. In literature emerges an increasing identification of the protagonist with his domestic space, which becomes a sort of second skin and inherit the nature of the protagonist.
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Leila Orlando: From Self-display to Tableaux Vivants in Contemporary (gendered) Performances [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia]
Studying Yoko Ono and the Fluxus movement I recognized the centrality, in the last decades, of the term “Intermedia”, as Dick Higgins called this inter-boundaries form of art. My specific interest is to discover in the gendered art (with a specific focus on female artists) the evolution of performing art and the correlation between movement and still life inside this practice. The centrality of the body and self-displaying in the performances of an artist like Yoko Ono can be a starting point for analysing more closely the conception of the body in a woman artist that has experimented and lived with the differences of the Eastern and the Western cultures. The performance Cut Piece – staged for the first time in Kyoto at Yamachi Hall in 1964 – can be useful to resume some of the topics of the works of intermedia artists of 1960’s. This performance has gained iconic stature in the history of performance art for his proto-feminist conceptualism, as Alexandra Munroe wrote.
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Manuela Pagano: Il cinema di Krzysztof Kieslowski. Messa in scena di uno sguardo inquieto [abstract presentato in occasione del convegno: Cultura visuale in Italia]
Protagonista assoluto dell’intera produzione di Krzysztof Kieslowski è uno sguardo inquieto, costantemente in bilico tra partecipazione e distacco, che andando al di là del visibile, si proietta verso il metafisico della visuale. Più che immagini, il regista polacco ripropone archetipi visivi, “pathosformel” per dirla alla Warburg, formule emotive capaci di generare moti d’animo universali, oltre il tempo e lo spazio. La prospettiva della cinepresa si sovrappone a sguardi in macchina, intradiegetici, extradiegetici, espressioni di una molteplicità di sensi che si ricompongono nell’unità di un Senso altro.
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Federica Pich: Vedere e non descrivere: la poesia sopra il ritratto tra Quattrocento e Cinquecento [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia]
Nella prospettiva degli studi sull’interazione tra codice letterario e codice visivo, ho avviato una riflessione sul rapporto tra poesia breve su ritratto e ritrattistica figurativa tra Quattrocento e Cinquecento. I risultati di un’ampia ricerca che ho condotto sul tema del ritratto nella lirica petrarchista (da Petrarca a Marino) mi hanno portato a ripensare la natura del confronto tra i testi e i ritratti ai quali si riferiscono, di norma risolto e spiegato come ekphrasis: l’analisi di sonetti e madrigali su ritratto rivela infatti come la dimensione descrittiva sia minoritaria rispetto all’elogio e alla metafora e come il legame, spesso indiretto ed implicito, tra i versi e il loro eventuale referente pittorico si realizzi e si debba intendere in termini di circolazione (di motivi e topoi tra repertori continui) più che di derivazione (di singoli sonetti da singole effigi, e viceversa).
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Gian Piero Piretto: L’evento visuale come fondamento dell’opera d’arte totale (Gesamkunstwerk)
staliniana [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia]
Il capolavoro del Gesamkunstwerk staliniano avrebbe dovuto essere lo Stato Sovietico, l’opera d’arte somma e più completa che la cultura sovietica degli anni Trenta avesse potuto ideare e realizzare. La proclamazione del metodo detto “realismo socialista” nel 1934 diede vita a un percorso che, in mancanza di un vero e proprio Ministero della Propaganda, instradasse e tenesse sotto controllo lo sviluppo della cultura, delle arti, dei media. La retorica e l’oratoria staliniana non furono mai all’altezza di quelle dei suoi omologhi di altri paesi (Hitler, Mussolini), il suo marcato accento georgiano quando si esprimeva russo, la dizione tutt’altro che impeccabile e, non ultima, la sua naturale reticenza ad arringare le folle e a mostrarsi in pubblico possono essere tra le ragioni che hanno portato nella cultura del suo tempo a un amplissimo uso dell’immagine e all’artificio della virtualità.
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Maurizio Pirro: La pittura di paesaggio nell’immaginazione letteraria della seconda metà del Settecento [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Il progetto di ricerca parte dall’idea che la diffusione della Landschaftsmalerei alla metà del Settecento e l’infittirsi del dibattito teorico sulla visione della natura a essa sottesa abbiano contribuito in misura non trascurabile allo slittamento del concetto di Naturnachahmung in letteratura, partecipando cioè alla sua ristrutturazione in senso antimimetico e immaginativo. Il punto nodale è in questo sviluppo il chiarimento circa il carattere mediale e finzionale della rappresentazione estetica della natura, che si estende poi progressivamente alla considerazione della priorità dei costituenti formali dell’opera d’arte rispetto ai suoi contenuti specifici.
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Simona Pollicino: Tra il visibile e il dicibile. La sintesi di immagine e parola in Yves Bonnefoy [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
L’imponente produzione saggistica di Y. Bonnefoy dimostra come egli assegni alle arti figurative, privilegiando tra tutte la pittura, un ruolo centrale nella sua poetica. Le sue pagine ci ricordano che, oltre ad essere una delle voci più rappresentative del panorama poetico contemporaneo, egli è anche un raffinato storico dell’arte, la cui parola trova fondamento e si alimenta nella complessa esperienza dell’ut pictura poesis. Al di là di una mera affinità tra parola poetica e immagine pittorica, per Bonnefoy è possibile parlare invece di un rapporto di solidarietà che coniuga sia lo statuto che la finalità dei due linguaggi quali sistemi di rappresentazione.
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Simona Previti: La invención de Morel o il sogno del cinematografo [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Le figure che inspiegabilmente appaiono di notte in alto alla costa dell’isola di Morel, (Adolfo Bioy Casares, La Invención de Morel, 1941), ballano nei campi erbosi sulla collina - dice Casares - “come villeggianti sistemati da molti giorni a Los Teques o a Marienbad”, sono creature cinematografiche che il fascio di luce di un proiettore ha animato, popolando di suoni e immagini un’isola creduta deserta (stranieri come “les étrangers” descritti da Queneau, “êtres bizarres” alle prese con scatole per la proiezione di immagini). Per il narratore che li guarda dal basso dell’isola sono giganti fugaci che si agitano sui dirupi, mostruosi come i primissimi piani che invadevano lo schermo delle pionieristiche séances pubbliche.
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Novella Primo: Come un rivelarsi “dall’ombra”: l’epifania fotografica di Lalla Romano [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Un’ombra «leggera e mobile, proiettata sul muro di una stanza» e poi altre figure evanescenti che si delineano sull’intonaco bianco di una stanza spoglia: sono queste le visioni perturbanti e oniriche che la scrittrice-pittrice Lalla Romano ricorda, nell’opera Un sogno del Nord (1989), come le prime immagini impresse nella sua memoria. Dalle ombre sognate al bianco e nero delle fotografie paterne, si può individuare un fil rouge, euristicamente produttivo, per esaminare la testualità della Romano, complessa e multiforme pur nella sua limpida chiarezza.
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Giuseppe Pucci, Agrippina sullo schermo [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Un personaggio come Agrippina, così simile a un’eroina di una tragedia greca, che dopo aver perpetrato i più orrendi misfatti per assicurare l’avvenire del figlio viene in ultimo uccisa dalla sua stessa creatura, non poteva non interessare da subito il cinema. La sua apparizione nelle sale cinematografiche risale già alla prima epoca del muto, e precisamente al 1910. In quell’anno Enrico Guazzoni (1876-1949) realizzò per la Cines una pellicola in cui essa è addirittura protagonista.
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Alice Pugliese: Edmund Husserl: lo sguardo del filosofo [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia“]
Husserl è stato spesso iscritto, con chiaro intento critico, nel panorama delle filosofie della presenza che impongono la violenza dello sguardo. In realtà, l’atto inaugurale della fenomenologia, l’epoché, con la conseguente riduzione-riconduzione alla soggettività trascendentale, può essere vista come la scoperta della plurivocità insita nello sguardo stesso, come una riappropriazione delle insospettate potenzialità del rapporto visivo quotidiano con le cose e di quello del filosofo con la totalità del mondo. Tra il 1905 e il 1907 Husserl delinea, in un processo di costante raffinamento della ricerca, il gesto chiave dell’impresa fenomenologica: l’epoché rappresenta una messa tra parentesi non del mondo tout court, ma della sua immediata validità per noi.
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Nadia Rosso: Closure e metonimia: il potenziale dell’immagine e della parola nel fumetto [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Indipendente e unica nel suo genere è la modalità di fruizione dell’opera a fumetti. La giustapposizione nello spazio di «immagini e altre figure giustapposte in una deliberata sequenza, con lo scopo di comunicare informazioni e/o produrre una reazione estetica nel lettore» (McCloud, 1999) si configura come sua condicio sine qua non. Uno dei suoi elementi più affascinanti è la closure (lat. clausura), che corrisponde in verità in tutto e per tutto alla metonimia e ha molti punti di contatto con la psicologia della Gestalt, entrando a tutti gli effetti come meccanismo di percezione del Soggetto: «[…] in Gestalt psycology, the process whereby incomplete forms, situations, etc., are completed subjectively by the viewer or seem to complete themselves; the tendency to createordered and satisfying wholes […]» (dal The Oxford English Dictionary).
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Vincenza Scuderi: L’Ars Combinatoria di Brigitta Falkner [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Brigitta Falkner (classe 1959), appartata autrice austriaca quasi ignota alla critica, defilata sia per indole personale che per il tipo di arte “estrema” a cui si dedica, tende da sempre a forme della poesia che pongono in primo piano quei procedimenti compositivi che la maggioranza degli autori preferisce non lasciare emergere oltre la struttura costitutiva del testo, ricusandone lo status di genere letterario: anagrammi, lipogrammi, palindromi. A questa scelta di lavoro di Falkner – capace di una tale libertà di elaborazione e narrazione da far dimenticare le “regole restrittive” di questo tipo di azione scrittoria – si accompagna in modo inestricabile, rendendo la sua opera un evento ancor più sorprendente, il fatto che la creazione di questo spazio altro della parola poetica ami manifestarsi in una compenetrazione indissolubile fra Bild e Schrift, attraverso una serie di procedimenti che tende a superare ogni limitante concezione di accostamanento e commistione fra segni diversi («Poiché la parola ricercata quasi sempre si amplia […] in cosmi visivi», recita una recensione del 2002).
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Jakob Stougaard-Nielsen: Revising, Re-reading, Re-seeing Henry James’s New York Edition [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
In the paratexts to Henry James’s New York Edition of his novels and tales (1907-9) we cannot “overlook” the visual traces of the author: his initials are stamped in gold on the plum-colored velum cover; the same initials are water-marked into the sheets of the twenty-four volumes; his profile appears in the photographic frontispiece to the first volume alongside his handwritten signature; the author’s name appears, of course, on the title page; and he has signed the prefaces in which we find the author recounting the processes of initially writing his literary works collected in the edition but also recalling the impressions of re-reading and finally revising them.
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Vincenzo Stazzone, Testi ed intertesti in Vincenzo Consolo: Lo Spasimo di Palermo [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Tra i romanzi di Vincenzo Consolo Lo Spasimo di Palermo denunzia, fin dal mottoepigrafe, tutta la difficoltà della parola, quasi tribuendo al duro mestiere dello scrittore significato prometeico: «Corifera: rivela tutto, grida il tuo racconto […]. Prometeo: Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore». Questa soglia al testo, tratta dal primo stasimo corale del Prometeo incatenato di Eschilo, non è casuale: Lo Spasimo di Palermo è infatti il difficile racconto di una modernità ferina, una cupa gradatio ascendente che culmina nella strage palermitana di Via D’Amelio e nell’uccisione di Borsellino. Nel dire ciò che per eccellenza è nefas, la scrittura consoliana sembra esser minacciata dagli estremi dell’urlo e del silenzio, viene a confutare il mito quintilianeo della firma facilitas, produce un ricco sfolgorio di immagini che rinviano al motivo della caduta e dell’afasia.
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Federica Timeto: Feminism, Postcoloniality and New Media Theory and Practice [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
My research focuses on the tools and methods of new media art from a feminist postcolonial perspective, in order to question the idea of boundarylessness, which usually animates the discussion on new technologies. I intend to analyze works by individual and collective artists that explore the connection between issues such as hybridity, nomadism, location and dislocation, and the material and symbolic effects produced by new technologies on embodied – gendered as well as racialized - subjects. In order to do so, I will focus on new media artworks – like video, digital and net art, experimental theatre and performance - that either take place in or give voice to postcolonial realities and border situations.
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Francesca Torchi: L’immagine fotografica e la riscrittura della storia nell’opera degli scrittori
contemporanei di Martinica e Guadalupa [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Questo progetto si propone di rilevare le funzioni poetiche profonde che motivano l’integrazione della fotografia al testo letterario operata da alcuni scrittori contemporanei dei Caraibi francofoni. A tale scopo, analizzeremo alcuni testi dei martinicani Patrick Chamoiseau e Raphaël Confiant e l’ampio volume della guadalupeana Simone Schwarz- Bart dedicato alle figure femminili (Hommage à la femme noire, in collaborazione con André Schwarz-Bart, 1989). La letteratura contemporanea delle Antille francesi si inserisce nel corpo delle letterature postcoloniali anche per una comune urgenza di riscrivere la storia dal punto di vista dei popoli che hanno subito la colonizzazione. Uno dei numerosi testi teorici che si occupa, tra l’altro, della problematica storica, è l’Éloge de la Créolité (1989) di Jean Bernabé, Patrick Chamoiseau e Raphaël Confiant, manifesto del movimento della Créolité e dichiarazione d’intenti da parte di una generazione di scrittori e linguisti.
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Francesca Tucci: La poesia drammatica come poesia per l’occhio in Gotthold Ephraim Lessing [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Nel Laokoon, l’opera in cui l’idea di bellezza ideale “assoluta” come principio unitario capace di regolare le arti viene definitivamente messa in crisi, Lessing dà un’ennesima prova delle sue straordinarie capacità dialettiche e della sua propensione a contraddirsi. Per quanto netta possa essere la cesura tra arti figurative e arti poetiche, sia in virtù dei mezzi espressivi rispettivamente impiegati che del differente concetto di “bellezza ideale” proprio di ciascuna, esiste in realtà un genere poetico che scompagina tale rigida suddivisione e che torna ad accomunare pittura e poesia: il genere drammatico.
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Federica Zullo: Segni, immagini e visioni del “reale” nella scrittura di Ivonne Vera [abstract presentato in occasione del convegno "Cultura visuale in Italia"]
Nel 2004 viene allestita a Milano la seconda edizione italiana della Biennale di Fotografia Africana Contemporanea dal titolo Made in Africa Fotografia, un’importante rassegna dedicata alla produzione artistica e documentaristica del continente africano, un passo importante per dare maggiore intensità all’incontro unico ed autentico con un continente raccontato attraverso lo sguardo dei suoi più valenti fotografi. La mostra ha riservato uno spazio privilegiato alla fotografia della memoria, rappresentata dalla testimonianza storica di una collettiva dello Zimbabwe dal nome Thatha Camera, all’interno della quale vi si trovano fotografie raccolte prevalentemente negli anni ottanta del Novecento. Esse costituiscono il documento originale di un’epoca, la testimonianza più viva di un percorso storico, sociale ed emotivo.
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