Pietro Maltese
Gramsci e le crisi organiche
Questo intervento ha l’obiettivo di mettere in rilievo la nozione di crisi organicaa partire dalla riflessione carceraria di Antonio Gramsci. Essa si rivela esemplare di una maniera di svolgere il tema della crisi nella prima metà del XX secolo tutto sommato estranea, sebbene riagganciabile, al pensiero ed alla cultura della crisi che allora tormentavano alcune tra le migliori intelligenze della vecchia Europa. Offre, altresì, categorie fungibili nell’oggi in ragione di una metodologia di analisi dei fatti sociali che non ha perso, a parere di chi scrive, freschezza e vitalità. Ora, in una nota di seconda stesura che affronta il modo attraverso cui andrebbe trattato un «periodo storico», il pensatore sardo fa riferimento all’eventualità che si verifichi una crisi prolungata «per decine di anni. Questa durata eccezionale significa che nella struttura […] sono venute a maturità […] contraddizioni insanabili e che le forze politiche operanti positivamente alla conservazione e difesa della struttura stessa si sforzano […] di sanare entro certi limiti e di superare. Questi sforzi incessanti e perseveranti (poiché nessuna forma sociale vorrà mai confessare di essere superata) formano il terreno dell’occasionale sul quale si organizzano le forze antagonistiche che tendono a dimostrare […] che esistono già le condizioni necessarie e sufficienti perché determinati compiti possano […] essere risolti storicamente» [Q. 13, pp. 1579-1580]. Perché la dimostrazionevolga a buon fine (inverandosi), devono, però, entrare in azione «polemiche» di ordine ideologico, filosofico, religioso. Sicché la «concretezza» della dimostrazione«è valutabile dalla misura in cui» le suddette polemichesi rivelino «convincenti», spostando, così, il «preesistente schieramento delle forze sociali» [Q. 13, p. 1580]. Si colloca qui il ruolo della critica nonché delle ideologie, non gnoseologico ma pratico, o meglio gnoseologico proprio perché pratico. Lo slittamento della dimostrazionesul piano della politica (della cultura, delle ideologie, della generazione di senso, della formazione, tutte nozioni traducibilinell’idea di politica) non verifica semplicemente la crisi, ma la produce. Da questo passo è ricavabile una considerazione-chiave: la possibilità di far esplodere crisi, di mettere in mostra ed in moto le contraddizioni di un’epoca, in modo da rovesciarne gli esiti in una direzione emancipativa (facendo «diventare libertà ciò che oggi è necessità» [Q. 22, p. 2179]), sembra stare dalla parte della critica; certo, una volta che essa, attraverso complicate procedure e processi molecolari, arrivi a farsi praxis, attivando un conflitto tra egemonie.