Breve diario di frontiera
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Breve diario di frontiera. Un migrante, una terra promessa, un occidente di sapone

 


I migranti sono esseri circondati dai confini. I confini convenzionali, geografici, che dividono un Paese dall’altro, per loro sono soltanto i confini grandi, visibili. Ma di confini ce ne sono moltissimi altri, invisibili, che lo spiano in continuazione, tutti i giorni, ogni volta che si muove, ogni volta che esprime un desiderio o nutre un’ambizione. Il primo di questi confini invisibili è la lingua. Non c’è migrante che non si emozioni quando riesce a comporre le primi frasi in lingua straniera, quella lingua che fino al giorno prima suonava come una mitragliatrice o una macchina per cucire. E’ un’emozione simile a quella del primo amore. Allora si cerca di rubare intonazioni ed espressioni idiomatiche, soprattutto quelle più cariche di valori emotivi. E si sforza di parlare nel modo più fluente e naturale possibile, per convincere gli altri che anche lui può diventare uno di loro. [Breve diario di frontiera, G. Kapllani, trad. M. De Rosa, citazione p. 97]


Gazmend Kapllani racconta la sua migrazione da un’Albania schiacciata dal regime del dittatore Enver Hoxha. 

Dopo aver trascorso l’infanzia e gli anni della scuola in Albania, immaginando che le minigonne e i quiz della tv di Stato italiana fossero la realtà di ogni giorno della vita in Occidente – e fantasticando di poter vivere nella "terra dei sogni" – la morte del dittatore consente a Kapllani di mettere in pratica il proprio piano di fuga.

Tuttavia, al suo arrivo nella Terra Promessa, non trova né procaci e disponibili fanciulle, né il caloroso benvenuto che aveva immaginato di ricevere dai suoi cugini greci. Viene, invece, sbattuto in un centro di detenzione temporaneo, situato in una piccola città di confine. Gazi e i suoi compagni immigrati cercheranno così di trovare un lavoro, cominciando a pianificare le loro vite future in Grecia e immaginando ricchezze e successi che rimangono sempre appena oltre la loro portata. Kapllani racconta con irriverenza e ironia di un’infanzia popolata di onnipresenti e paranoici delatori e di cartoni di sapone in polvere sbiancati dalla salsedine del Mare Adriatico utilizzati come feticci dell’Occidente per decorare il salotto di casa, e, intrecciando questi ricordi con il presente di migranti afflitti dalla “sindrome del confine” (uno stato mentale al pari di un’esperienza geografica), confeziona un brillante e divertente romanzo d’esordio. Un affresco realistico di un recente passato, una storia che continua a perpetrarsi nella più stringente contemporaneità.


L’autore: nato nel 1967 a Lushnjë, in Albania. Nel gennaio del 1991 ha attraversato il confine con la Grecia a piedi per sfuggire alla persecuzione da parte dei servizi segreti comunisti. In Grecia ha lavorato come muratore, cuoco, venditore ambulante, laureandosi successivamente presso l’università di Atene e completando un dottorato sull’immagine degli albanesi sulla stampa greca e dei greci sulla stampa albanese. Ora è uno scrittore di successo e tiene una rubrica bisettimanale su Ta Nea, il più grande quotidiano greco.